“Siamo alla frutta”, il rapporto dell’associazione Terra! svela gli insostenibili meccanismi del settore frutticolo
Vi siete mai domandati perché tre le corsie dei supermercati le mele abbiano lo stesso colore della buccia, i kiwi le stesse dimensioni, le arance la stessa rotonda lucidità? La risposta si nasconde dietro a insostenibili normative europee sulla produzione frutticola e alle barriere all’ingresso sui mercati della Grande Distribuzione Organizzata. Il rapporto “Siamo alla frutta” dell’associazione ambientalista Terra! indaga le problematiche del settore della frutta, messo alle strette da regole di commercializzazione che richiedono prodotti esteticamente perfetti. Un’impresa sempre più difficile a causa della crisi climatica, che rende la produzione irregolare e meno omogenea per forma e dimensione.
La selezione della frutta: i canoni estetici stabiliti dall’Europa
Siccità, inverni troppo caldi, gelate improvvise, nuove specie invasive: il settore agricolo è duramente impattato dai cambiamenti climatici. Inoltre la produzione di frutta, già ridotta dagli imprevedibili fenomeni atmosferici, non sempre riesce a raggiungere il consumatore finale. Terra! denuncia l’insostenibilità della filiera frutticola, in cui su una disponibilità di prodotto pari a 3 milioni di tonnellate solo il 57% è destinato al consumo fresco. E il resto? Il 30% va all’industria di trasformazione di succhi e essenze, l’8% è esportato e la restante parte viene persa lungo la filiera o ritirata dal mercato.
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La “selezione all’ingresso” sul mercato di frutta e verdura è stabilita dal Regolamento UE 543/2011, poi modificato dal 428/2019. La stringente normativa europea stabilisce la qualità dei prodotti, suddividendoli in “Extra”, “Categoria I” e “Categoria II”, quella considerata inferiore. Le caratteristiche minime sono garantite in ogni caso: la frutta deve essere intera, sana, pulita e priva di parassiti. Per essere promossa a categoria superiore deve però rispettare requisiti estetici specifici, dalla colorazione della buccia al calibro (le dimensioni). I prodotti con difetti di forma, di colorazione o piccole ammaccature non passano la selezione, pur essendo ottimi dal punto di vista organolettico.
Solo il meglio sugli scaffali dei supermercati
Anche i supermercati giocano un ruolo importante in questo processo di selezione, accogliendo nei loro reparti solo frutta “Extra” o di “Categoria I”. I prodotti con imperfezioni estetiche difficilmente trovano spazio sui mercati tradizionali: secondo la GDO i consumatori non li acquisterebbero. Vengono allora venduti su mercati considerati più poveri (l’Est Europa) oppure alle industrie di trasformazione per farne succhi di frutta. In questi casi però il prezzo pagato agli agricoltori è talmente irrisorio che, secondo alcune testimonianze, “copre a malapena i costi di produzione”. Il rischio è che gli agricoltori decidano addirittura di non raccogliere i prodotti perché non redditizi o, nel peggiore dei casi, di chiudere le aziende. Ecco che la crisi del comparto agricolo, già innescata dai cambiamenti climatici, viene esacerbata dai meccanismi di mercato.
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Le filiere più penalizzate
Il report di Terra! indaga quattro filiere frutticole, concentrandosi sulla produzione di pere, arance, kiwi e mele. I primi tre sono casi da manuale: la frutta italiana, danneggiata da eventi meteorologici avversi, è di calibro ridotto e presenta piccole imperfezioni. Ad esempio la filiera delle arance siciliane, colpita dalla siccità nel 2020-21, ha portato prodotti di dimensioni inferiori e pertanto poco apprezzati dai distributori. La soluzione dei supermercati? Vendere arance importate dall’estero, in particolare dalla Spagna. Quelle italiane in gran parte sono diventate succhi di frutta o oli essenziali. La produzione di mele spicca invece come unica storia di successo: i produttori, aggregati in consorzi, hanno maggiore capacità contrattuale nello stabilire i prezzi con la GDO.
Come dare più valore alla frutta imperfetta
“Questa ossessione per la perfezione è incompatibile con le trasformazioni dell’agricoltura alle prese con il cambiamento climatico”, dichiara Fabio Ciconte, direttore di Terra! e autore del report. Occorre che la politica intervenga a tutela degli agricoltori e che i supermercati si impegnino a vendere anche frutta di “Categoria II”. Valorizzando i prodotti “brutti ma buoni” potrebbero sensibilizzare i consumatori al loro acquisto. È stato il mercato a rendere il giudizio estetico uno dei principali criteri d’acquisto della frutta. Il mercato può ora rimediare.