La saga di Fairy Oak ritorna nelle librerie con il nuovo libro di Elisabetta Gnone "La storia perduta"

Ritorno a Fairy Oak, intervista all’autrice Elisabetta Gnone

in Educazione|Libri|Natura
Ritorno a Fairy Oak, intervista all’autrice Elisabetta Gnone ultima modifica: 2021-02-04T13:05:11+01:00 da Martina Strobietto
da

Intervista a Elisabetta Gnone, creatrice della saga di Fairy Oak, tornata tra gli scaffali delle librerie a ottobre con il suo nuovo libro “La storia perduta”.

Tra le autrici della narrativa italiana per ragazzi non si può non citare Elisabetta Gnone, creatrice della celebre saga “Fairy Oak”, che continua ad affascinare le ultime generazioni con il nuovo capitolo della serie, “La storia perduta”, pubblicato lo scorso ottobre.

Protagoniste le due gemelle streghe, Vaniglia e Pervinca, che con i loro amici vivono mille avventure nella Valle di Verdepiano, un luogo abitato da magici, non magici e fate. A fianco di una storia che tratta i temi dell’amicizia e della natura, le immancabili immagini, che arricchiscono il testo e rendono il villaggio più realistico. Di seguito l’intervista all’autrice.

 

Se dovessi descrivere Fairy Oak in tre parole, quali parole sceglieresti e perché?

La prima parola che mi viene in mente è “natura”. Fairy Oak nasce e si sviluppa come metafora naturalistica. Il mio obiettivo era di raccontare la natura e nello specifico il potere, i cicli con cui la vita diventa possibile, gli spettacoli incantevoli che ci regala e la precarietà del suo equilibrio. Ho trasformato tutto questo in una fiaba e ho attribuito questi poteri a due sorelle gemelle, identiche fisicamente ma diverse caratterialmente, Vaniglia e Pervinca. La prima ha il dono della creazione, la seconda quello della distruzione: nessuna delle due è buona o cattiva, ma sono entrambe strettamente necessarie.

Amicizia” è il secondo termine con cui descriverei Fairy Oak. Si tratta di un aspetto visibile soprattutto tra i ragazzi del villaggio che formano un gruppo all’interno del quale ogni membro è indispensabile. L’amicizia tra di loro è presente sin dall’infanzia: è un sentimento totalmente disinteressato, nato dall’affinità di pelle e di intenti, che si sviluppa con la consapevolezza di poter apprendere gli uni dagli altri, trascorrendo momenti felici insieme e affrontando uniti le difficoltà.

Concluderei l’elenco con la parola “comunità”. Essendo cresciuta in un paesino alle porte di Milano, mi sono resa conto della bellezza di diventare grandi in una comunità in cui poter essere liberi di sperimentare il mondo. Il tutto sotto la supervisione attenta e silenziosa degli adulti, punti di riferimento a cui ogni ragazzo dovrebbe poter rivolgersi con sicurezza.

Libri per bambini, Jill Barklem e il meraviglioso mondo di Boscodirovo

Hai parlato di equilibrio, per quale motivo pensi che sia importante?

L’equilibrio deve essere sempre presente e, quando esiste, ne vedo i benefici. Anche se a volte non lo vediamo o non lo comprendiamo, la natura ha il proprio e, con le nostre azioni, spesso tendiamo a sconvolgerlo. Al di fuori di questo contesto, l’equilibrio può chiamarsi “buon senso”: occorre soppesare, evitando di far pendere il piatto della bilancia da una parte o dall’altra. Più in generale, significa rispettare chi ci circonda, mettersi nei panni altrui e limitarsi per far spazio agli altri.

Che ruolo ha la natura nella tua vita e nel tuo processo creativo?

La natura è importante sia a livello personale sia nel mio processo creativo: non riesco a distinguere i due ambiti. Vivo tra le colline e, nei momenti di crisi, la natura è uno spazio sicuro perché va avanti, a prescindere dagli esseri umani. A questo proposito, un mio amico sostiene che la natura non bada ad altro se non ai suoi interessi: penso sia vero.

Quando cammino tra i campi e nei boschi traggo un grande benessere nell’osservarla perché è in continuo mutamento. Questa peculiarità la rende una scoperta continua. Viverla poi, anche quando le condizioni meteorologiche sono difficili, obbliga la persona a fare proprio il suo ritmo ed è rasserenante. Per me è d’obbligo la passeggiata mattutina con i miei cani: solo dopo la camminata inizio a scrivere.

Abiteresti a Fairy Oak?

In realtà un po’ ci vivo: Fairy Oak per me è natura e campagna. Quando ho iniziato a scrivere la saga stavo tornando da un viaggio tra Bretagna e Normandia. In quei posti, così come in Scozia, la natura è sontuosa e si concretizza nelle brughiere, nelle praterie e nelle baie.

La campagna in cui io vivo è più agricola. Nel mese di febbraio accade qualche volta che inizi ad essere insofferente verso la nebbia, gli alberi spogli e la solitudine. In questi casi, per allontanarmi da tale sensazione, trascorro una giornata nella mia amata Milano. Riesco tuttavia a godermi questa città solamente per poco tempo: dopo qualche ora, infatti, vado in affanno perché la natura inizia a mancarmi.

Ma una cosa in particolare rendeva il villaggio davvero speciale: a causa di un antico incantesimo, o forse per volere delle stelle del Nord, Fairy Oak era l’unico posto, di tutti i mondi reali e incantati, dove umani e creature magiche vivevano insieme, mescolati in perfetta armonia. Streghe, fate e maghi abitavano le case di Fairy Oak come normali cittadini, e tali erano considerati dalla comunità

Con i miei libri ho voluto toccare le tematiche dell’accettazione del diverso e dell’integrazione perché sono questioni di grande attualità. A proposito dellimmigrazione, sono dell’idea che la terra sia di chi la calpesta: per questo motivo, considero inutili, se non addirittura assurdi, muri e frontiere. Da sempre, l’uomo si è spostato e si è stabilito in luoghi che gli assicuravano la sopravvivenza, così come gli animali. A differenza di questi però, che si chiudono in branco perché si riconoscono come simili, noi dovremmo essere in grado di mettere da parte paura e diffidenza e osservare la diversità con curiosità. Occorre comprendere che ognuno di noi può aiutare il prossimo in modo differente in quanto possiede una propria storia, costituita da determinate conoscenze, doti ed esperienze. La diversità è fonte di ricchezza e non lo è solo negli esseri umani, ma in tutto ciò che ci circonda, dalla natura ai colori.

Giornata Internazionale dei Diritti dei Migranti 2020: verso società più coese

Pensi che la scuola possa essere utile per insegnare l’integrazione?

Credo che le nuove generazioni non nascano diffidenti e che, per loro, l’integrazione sia molto più naturale e spontanea che per noi adulti. Oggi, infatti, le scuole sono multietniche: ormai è normale trovare all’interno delle classi bambini e ragazzi provenienti da un altro Paese, che parlano una lingua materna differente dall’italiano e pregano un Dio diverso.

Molto spesso, le discriminazioni vengono trasmesse ai ragazzi dagli adulti, soprattutto all’interno del contesto familiare. Se i genitori considerano il diverso come un nemico, è molto probabile che questo atteggiamento negativo venga assunto anche dai figli.

Perché hai deciso di tornare a Fairy Oak dopo quindici anni?

Con la pubblicazione di “Addio, Fairy Oak”, il libro che fino a qualche mese fa era l’ultimo capitolo della saga, era chiaro il mio intento di non ritornare nuovamente al villaggio. All’epoca avevo il timore di essere ripetitiva e di aver già raccontato il necessario. La situazione di emergenza sanitaria che stiamo vivendo ha tuttavia influenzato questa decisione. Vivendo in campagna, infatti, durante il lockdown ho avuto la fortuna di fare delle lunghe passeggiate nella natura, in cui ho trovato ristoro, occasione negata a chi abita in città. Ho pensato quindi a cosa potessi fare concretamente io per alleviare questa condizione: ho deciso allora di riaprire le porte del villaggio. A questo si aggiunge poi il quindicesimo anniversario dall’uscita del primo libro, “Il segreto delle gemelle”: è stata un’occasione di festa.

Questo libro comunque non segnerà il mio unico ritorno al villaggio della Quercia Fatata: ora che ho riaperto le porte, ho deciso di restarci un po’ di tempo. A questo proposito, il prossimo libro della saga uscirà entro la fine di quest’anno.

Nel tuo nuovo libro “La storia perduta”, viene data molta importanza alla storia. Pensi che questa disciplina possa insegnarci qualcosa sul modo in cui poter affrontare l’attuale pandemia?

La storia può insegnarci molto ed è necessario conoscerla. Io, ad esempio, attraverso la lettura di saggi e biografie, sto approfondendo epoche che durante l’infanzia e l’adolescenza ho studiato poco e male. Quando andavo a scuola, infatti, questa disciplina mi è stata spiegata con superficialità, spingendomi a considerarla come un insieme di fotografie istantanee, in bianco e nero, decontestualizzate, senza alcun significato. Conoscere la storia mi permette di vivere con meno angoscia perché scopro che gli eventi attuali sono già stati vissuti e superati in passato: dalle pandemie alle crisi economiche, passando per le grandi migrazioni. Ad oggi, non solo ci troviamo in una situazione non nuova, ma siamo anche provvisti di tecnologie innovative che ci permettono di avere più soluzioni efficaci a un problema.

La storia è il passato di un popolo, ma più in generale è la grande avventura dell’umanità: si tratta di un cammino affascinante, folle, stravagante e drammatico.

Spesso gli studenti vengono obbligati a leggere volumi su realtà attuali e tragiche che, per chi è inesperto e non conosce il passato, non sono altro che una fonte di ansia ulteriore. Prima di assegnare letture simili, è necessario spiegare ai ragazzi gli avvenimenti che hanno condotto il genere umano al punto in cui si trova adesso. Per farlo, sarebbe opportuno trasformare i giovani in veri e propri investigatori, proprio come suggerisce la supplente Foresta Illuminata alla sua classe nel libro.

Pensi di essere riuscita a trasmettere i valori in cui credi?

Durante la stesura della saga, il mio obiettivo era trasmettere l’amore per la natura, il rispetto per gli altri, il valore dell’amicizia e l’importanza della famiglia.

Spesso la saga è stata descritta dalla critica come una serie troppo “buonista” in cui si ritrova un mondo perfetto, senza avvenimenti troppo gravi che lo stravolgono. A questo proposito, sono fermamente convinta che i ragazzi abbiano diritto a una letteratura “dovuta”, che dia un esempio sul modo in cui la società dovrebbe funzionare per vivere bene e dei comportamenti attraverso cui è possibile raggiungere questo scopo. Il tema della speranza deve avere un ruolo centrale in questi libri perché è proprio questo concetto che spinge le persone a credere nel cambiamento.

Con questa saga volevo dare un modello di un mondo in cui dominavano determinati valori. Alla fine della trilogia, ho ricevuto tantissime e-mail dai miei lettori. All’interno dei messaggi, sempre la stessa domanda: “Adesso dove vado?” e non “Ora che cosa leggo?”. Questo mi ha fatto pensare di essere effettivamente riuscita a trasmettere gli ideali e le emozioni che desideravo.

[Immagini dal libro “La storia perduta”]

Ritorno a Fairy Oak, intervista all’autrice Elisabetta Gnone ultima modifica: 2021-02-04T13:05:11+01:00 da Martina Strobietto

Nata a Torino, città di cui è profondamente innamorata, è una studentessa di comunicazione interculturale molto curiosa e piena di interessi. Trascorre le sue giornate tra romanzi, schizzi di disegno, manuali universitari e serie televisive. Ama l’arte, la natura, i viaggi e la lingua francese e spera un giorno di riuscire ad amalgamare tutte le sue passioni trasformandole in un lavoro.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo mail non verra pubblicato

*

Ultimi articolo di Educazione

Go to Top