Little Joe, la felicità ricreata in laboratorio grazie ad un fiore

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Little Joe, la felicità ricreata in laboratorio grazie ad un fiore ultima modifica: 2021-01-31T08:00:40+01:00 da Emanuel Trotto
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Nel film Little Joe di Jessica Hausner in laboratorio viene creato un fiore che riesce a dare la felicità. Ma è la felicità di cui abbiamo davvero bisogno?

Il fatto

Alice Woodard è una giovane madre single e ricercatrice in un laboratorio botanico. Lei e il suo team creano un fiore color cremisi, ribattezzato “Little Joe”. Grazie all’ingegneria genetica questi è in grado di rendere felice il proprietario col suo polline. Alice presto si accorgerà che la sua creazione, in realtà, è meno innocua di quanto sembri…

Little Joe

Il commento

Questa è la storia di Alice (Emily Beecham). È una donna in quella età indefinita fra i trenta e i quaranta. È divorziata e vive con suo figlio Joe, adolescente, in un elegante e sobrio appartamento in città. Fra mobili dal design discreto e colori primari. Così come primari sono i capelli di Alice, rosso naturale. Vive un’esistenza controllata e vissuta in modo rigoroso. Una vita dove l’amore e l’affetto sono dosati con la delicatezza di un contagocce. Tutto è nelle giuste quantità, senza espandersi troppo.

Una vita fatta di lavoro e cene a base di delivery food. Cene che consuma con Joe la sera, scambiandosi frasi di circostanza, condite con la giusta dose di intesa che ci può essere fra madre e figlio. Centellinata con il contagocce, di nuovo. Una routine che viene interrotta dalle frequenti visite di Alice dalla psicanalista in uno studio in rosso. Lì Alice si ‘libera’ delle sue insicurezze, sul mondo che la circonda, sul suo essere madre single. Sul gestire un figlio da divorziata. Come le pressanti richieste dell’ex marito, Ivan, che vorrebbe vedere Joe più spesso. Per portarlo più di frequente in montagna dove vive. Portarlo a pescare al lago e immergersi in un verde diverso di quello sulle pareti di casa.

Little Joe
Alice (Emily Beecham) “mimetizzata” in mezzo alle sue creature.

Alice si sfoga, moderatamente, di una situazione che sta sfuggendo al suo controllo. Un controllo che riesce ad avere al lavoro. Lei lavora in un laboratorio di ricerca botanica in Inghilterra. Nel suo campo è fra le migliori. Grazie alla biogenetica dà vita ad un fiore dai petali cremisi. Una testa rossa come la sua. Un fiore sterile ma che, se accudito e gli si parla, ricambia rendendo felice il proprietario. Questo grazie al suo polline che stimola la produzione di ossitocina. Si tratta di un ormone la cui produzione verrebbe stimolata, naturalmente, dal contatto fisico affettuoso, dalla vista di persone amate. Stimola l’interazione sociale e i legami di fiducia fra le persone. In altre parole dona la felicità dell’amore in ogni sua accezione.

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Quasi inconsciamente Alice crea un fiore che è una sua versione migliore. Un doppelgänger bio – botanico che accoglie l’amore e che migliora l’umore. Un fiore che cambierebbe in meglio le persone che ruotano attorno a lei. A partire da Chris (Ben Whishaw), il suo collega dapprima segretamente innamorato di lei. E poi via via più audace dopo aver respirato per errore l’aria viziata dal fiore, in serra.

Un fiore che sa dare amore incondizionato e sa riceverlo, allo stesso modo di come lei non può o non vuole fare. Essa si è distanziata dall’esistenza, da situazioni e persone che l’hanno turbata. Come quell’ex marito così agli antipodi rispetto a lei. O quel figlio così insolitamente posato per la sua età. La donna arriva a combattere, interiormente, fra due “figli” così lontani fra loro. Sì perché figlio è anche il fiore stesso. Contravvenendo alle regole del laboratorio, porta uno di essi a casa. Lo regala a Joe e lo ribattezza “Little Joe”. Creando di fatto due se stesse e due Joe. Grazie a “Little”, “Big Joe” inizia a sentire realmente qualcosa. Prima di tutto l’interesse per una sua coetanea. Allontanandosi gradualmente dal controllo materno.

Questa è la storia raccontata in Little Joe di Jessica Hausner. Il film è stato presentato, in concorso, al Festival di Cannes 2019, ottenendo il Premio per la Miglior Interpretazione Femminile a Emily Beecham. Una storia che, sviluppandosi, riprende un canovaccio fantascientifico. Quello de L’invasione degli Ultracorpi (The Invasione of the Body Snatchers, 1956). Sia questo film che il romanzo di Jack Finney del 1956 si basano sulla perdita dell’umanità a causa dell’omologazione dovuta a una invasione aliena. Allora essa era vista come uno spauracchio del capitalismo e dell’assolutismo culturale ed emotivo. Non si deve essere felici, ma basta che si stia bene. Nulla di più. Non è un caso che la mutazione avvenisse tramite un baccellone alieno simile a quello di una pianta. Una mutazione nell’incoscienza della ragione e nel sonno.

Little Joe
Da sinistra Kit Connor (Joe), Emily Beecham (Alice).

Little Joe, in un certo senso, rielabora questa concezione. Alice è quasi un alieno, un ultracorpo senza matrice. Essa si muove in questo mondo in cui si passa repentinamente dalla freddezza all’emotività, con un cambiamento appena percepibile. Sua è l’incapacità di vivere in un mondo in cui abbiamo darwinianamente interrotto la produzione naturale di felicità. Per riaverla dobbiamo giocare con la genetica, giocando con la Natura. Non abbiamo avuto bisogno di un’invasione aliena per perdere l’”umanità” qualunque cosa essa significhi.

Lentamente, Little Joe ci fa scendere nell’incubo della ricerca della felicità. Una felicità che, però, è fittizia. È controllata anch’essa con il misurino. Si tratta di un film perfettamente in linea con la concezione contemporanea di questo tipo di felicità. Un qualcosa che puzza di gioiosa tristezza. Si cerca di riempire un vuoto che noi stessi abbiamo contribuito a creare. Un vuoto che la Hausner fa trasparire nei suoi dialoghi. Quando muove in avanti la macchina da presa. Escludendo gradualmente i personaggi ai lati dell’inquadratura, ci mettiamo alla ricerca di un qualcosa che non c’è. Ed è desolante.

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Scheda film

  • Regia: Jessica Hausner
  • Soggetto e Sceneggiatura: Jessica Hausner, Géraldine Bajard;
  • Interpreti: Emily Beecham (Alice Woodard), Ben Whishaw (Chris), Kerry Fox (Bella), Kit Connor (Joe Woodard), David Wilmot (Karl), Lindsay Duncan (psichiatra), Sebastian Hülk (Ivan), Jessie Mae Alonzo (Selma);
  • Origine: Austria, Regno Unito, Germania 2019
  • Durata: 105’
  • Premi: Festival di Cannes 2019 – Prix d’interprétation féminine a Emily Beecham;
  • Temi: CINEMA, NATURA, FIORI.

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Nato a Biella nel 1989, si è laureato in Storia del Cinema presso il DAMS di Torino nel 2012, ha partecipato alla rassegna stampa per l’Università al 29, 30, 31mo Torino Film Festival e ha collaborato per il Festival CinemAmbiente 2014. Collabora per diversi blog di cinema e free culture (Il superstite) e associazioni artistiche (Metropolis). Ha diretto due cortometraggi: E Dio creò le mutande (2011), All’ombra delle foglie (2012).

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