Le piante con un basso contenuto di clorofilla potrebbero contribuire a combattere l’emergenza climatica, riflettendo di più le radiazioni solari e diminuendo l’effetto serra. È quanto emerge da uno studio pubblicato sulla rivista Global Change Biology.
Piante con meno clorofilla. Che sia davvero questa la soluzione per contrastare il riscaldamento globale?
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Da diversi anni, gli scienziati cercano soluzioni per ridurre l’aumento della temperatura del pianeta. Uno studio recente, proveniente dal Consiglio Nazionale delle Ricerche ha visto un possibile alleato, nella lotta contro l’effetto serra, nelle piante.
Lo studio si intitola “Plants with less Chlorophyll: a global change perspective” ed è stato pubblicato sulla rivista Global Change Biology.
La ricerca dimostra che alcune piante, dette “pallide” poiché a basso contenuto di clorofilla, possono riflettere maggiormente le radiazioni solari.
Lorenzo Genesio, Franco Miglietta (Istituto per la bioeconomia del Cnr) e Roberto Bassi (Università di Verona) sostengono che una nuova generazione di vegetali a basso contenuto di clorofilla, potrebbero costituire un aiuto nella lotta al cambiamento climatico.
Durante il processo di fotosintesi, infatti, le piante incamerano, tramite la clorofilla, la luce solare.
Questo calore, essendo inglobato, contribuisce, anche se in minima parte, all’innalzamento delle temperature sulla superficie terrestre.
Le piante, infatti, assorbono elevate quantità di energia solare, anche se ne usano poca per crescere. La maggior parte del calore assorbito va, dunque, a riscaldare l’ambiente.
Modificando questi vegetali ed abbassando la loro quantità di clorofilla, verrebbe riflessa una quantità maggiore di luce solare.
Ciò, alla lunga, favorirebbe la lotta ai cambiamenti climatici. Non solo, secondo alcuni studi, una minor quantità di clorofilla ottimizzerebbe anche le prestazioni delle piante. Il prezzo da pagare sarebbe, dunque, solo quello di una colorazione più pallida.
Gli scienziati hanno spiegato che questo nuovo tipo di piante può essere ricreato in laboratorio anche in natura ne esistono già, come orzo, mais e grano.
[Immagine di copertina: Jaydeep Gajera on Unsplash]