La via del bosco, il documentario che racconta le storie di chi lavora nelle foreste

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La via del bosco, il documentario che racconta le storie di chi lavora nelle foreste ultima modifica: 2020-10-01T08:00:18+02:00 da Davide Mazzocco
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Il film, prodotto dalla Regione Piemonte e diretto da Francesca Frigo, viene presentato in anteprima a CinemAmbiente 2020

Fra esseri umani e foreste esiste un antico patto che deve essere rinsaldato di fronte alle sfide del cambiamento climatico e del riscaldamento globale. L’umanità ha vissuto per millenni in simbiosi con il bosco e con le sue leggi, ha costruito economie, tradizioni e culture intorno alle sue risorse e, soprattutto, ha compreso l’importanza della mutualità fra l’opera lenta e silenziosa degli alberi e quella delle comunità e delle persone.

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Le foreste forniscono una molteplicità di servizi ecosistemici: dal paesaggio che rigenera l’equilibrio psicofisico e alimenta il turismo al legname che valorizza le economie locali e le filiere corte, dal contenimento di frane, valanghe e smottamenti allo stoccaggio di CO2. Perché ciò avvenga è necessaria la manutenzione umana: solo la pianificazione forestale può mantenere in salute un bosco e le comunità che vivono ai suoi confini.

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Fernanda Giorda e Mario Gagliardi in una scena del documentario La via del bosco

Il documentario La via del bosco, diretto da Francesca Frigo e prodotto dalla Regione Piemonte e da BabyDoc Film, racconta, attraverso le storie di tre tecnici forestali, le implicazioni socio-antropologiche della gestione dei boschi e le criticità che si incontrano muovendosi in un ambiente che, dopo una lunga fase di spopolamento e abbandono, sta assistendo a una progressiva rinascita.

Il lavoro nei parchi naturali

Il racconto inizia alle porte di Torino, laddove Davide Altare, dottore forestale e dipendente della Regione Piemonte, si occupa della direzione dei lavori e del coordinamento delle squadre che operano nel Parco Naturale La Mandria: “Il mio ruolo è quello di coordinare gli operai forestali – spiega –. Io e le squadre che operano all’interno del parco siamo incaricati di svolgere delle operazioni che permettono una fruibilità del parco sia legata alla sicurezza, sia alla parte paesaggistica. Un parco è bello se viene manutenuto e curato. Questo sfugge ai più perché si dà per scontato che l’erba venga tagliata e la pianta non cada, ma questo ha alle sue spalle un lavoro”.

La natura “pura” è fatta anche di piante in deperimento, quindi se si vuole il paesaggio bisogna manutenere. Quello del Parco Naturale della Mandria è uno dei boschi planiziali più ampi del territorio piemontese e le squadre coordinate da Altare operano proprio per far sì che questo luogo resti fruibile in maniera sicura da parte dei torinesi e dei turisti provenienti da lontano.

Una scena del documentario La via del bosco
Una scena del documentario La via del bosco

Il ruolo dei tecnici forestali

Nelle valli montane il lavoro dei tecnici si confronta quotidianamente con quello dei proprietari dei boschi, degli amministratori e degli imprenditori forestali. Il rapporto fra comunità e bosco si fa più stretto e il ruolo della foresta diventa centrale nella riprogettazione del futuro. Fernanda Giorda, dottore forestale, gestisce lo sportello della Regione Piemonte per le Valli di Lanzo, un luogo che è un punto di riferimento per tutti coloro che operano nei boschi.

I tecnici forestali hanno il compito di coordinare il lavoro della pluralità di attori che operano all’interno delle aree boschive in accordo con le normative vigenti e le direttive in materia di gestione forestale:  “A oggi il 90% del bosco pubblico, vale a dire quello di proprietà comunale delle valli, è pianificato – spiega Giorda –. Ciò significa che ha alle spalle un piano regolatore della superficie boscata. Grazie a un piano forestale siamo in grado di sapere quante piante abbiamo nel bosco, qual è il volume che possiamo esportare e dove possiamo intervenire. I piani forestali sono fatti con un’ottica di silvicoltura sostenibile. Andiamo a prelevare molto meno di quanto il territorio è in grado di fornire. Se immaginiamo il patrimonio boschivo come un capitale, noi andremo a prendere molto meno dell’interesse che è in grado di maturare annualmente”.  

Il tecnico Davide Altare racconta il lavoro dei forestali all'interno del Parco Naturale della Mandria
Il tecnico Davide Altare racconta il lavoro dei forestali all’interno del Parco Naturale La Mandria

Una delle maggiori criticità che devono affrontare i tecnici forestali è la parcellizzazione fondiaria ovverosia la difficoltà di riuscire a coordinare le attività su aree contraddistinte dall’eterogeneità dei proprietari e dei confini amministrativi. Una delle strade percorse dai Gruppi di Azione Locale è stata quella di riunire i proprietari terrieri in associazioni temporanee di scopo che hanno facilitato l’operatività all’interno dei boschi e si sono relazionate con le imprese forestali locali.

“Se anche una persona non è proprietaria del bosco, tende a pensare al bosco come suo – continua Giorda –. Immaginiamo l’enorme sensibilizzazione che si ha di fronte a eventi catastrofici come possono essere stati la tempesta di Vaia o gli incendi in Valle di Susa. Quando uno sente il bosco come suo, ritiene anche di dover dire cosa bisogna fare per entrare in un bosco: tagliare o non tagliare, per esempio. Il ruolo del tecnico forestale è far conoscere la scienza con la quale ci si approccia alla superficie boscata che si chiama silvicoltura. Non è una scienza esatta come la matematica, ma è indubbiamente una scienza rigorosa che ci spiega come crescono gli alberi, quali sono gli alberi che meglio si adattano a un luogo e, soprattutto, ci insegnano le forme di governo del bosco”.

Fra i vantaggi provenienti della silvicoltura vi è quello di rendere più resilienti i boschi di fronte alle pressioni del riscaldamento globale, ma spesso i non addetti ai lavori tendono a percepire l’opera umana in maniera opposta, come un danno agli ecosistemi. Proprio per questa ragione una comunicazione corretta dei benefici della silvicoltura risulta fondamentale nel rapporto con la pluralità di figure che vivono a ridosso delle aree boschive.

Guido Blanchard
Guido Blanchard

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Guido Blanchard è dottore forestale e si occupa di pianificazione forestale in varie aree del Piemonte fra cui quella del Comune di Lemie. Una decina d’anni fa questo comune della Città Metropolitana di Torino situato nella Valle di Viù ha deciso di intraprendere una strada innovativa per quanto riguarda la gestione sostenibile delle foreste. Se la protezione idrogeologica, la regolazione del ciclo dell’acqua, il valore culturale e turistico del paesaggio e l’approvvigionamento della legna sono servizi ecosistemici che le comunità montane e rurali hanno compreso da secoli, se non da millenni, la funzione di assorbimento del carbonio è un beneficio del quale si è avuta piena consapevolezza solamente in tempi recenti.

Nel 2011, dopo avere incontrato Blanchard, il sindaco di Lemie, Giacomo Lisa, ha scelto di rinunciare ai possibili proventi di parte dei boschi situati nei 45 kmq del territorio comunale per monetizzare lo stoccaggio garantito dagli alberi sul mercato dei crediti di carbonio: “Avendo avuto un forte spopolamento e non avendo industrie o apparati produttivi differenti, Lemie ha vissuto nell’ultimo secolo un abbandono del territorio. Abbiamo pensato che, in futuro, un territorio abbandonato avrebbe potuto avere una forte valenza ambientale. Quindi ci siamo detti: perché utilizzare questo potenziale ambientale solamente per fare legna da ardere? Proviamo a dargli una valenza diversa”.

La regista Francesca Frigo
La regista Francesca Frigo

Il comune di Lemie ha così scelto di rinunciare al taglio degli alberi e lasciare una quota maggiore di biomassa all’interno del popolamento e dell’ecosistema in modo da monetizzare l’assorbimento e lo stoccaggio delle emissioni di CO2: “Nell’immediato ciò significava avere meno reddito dalla vendita della legna – spiega Blanchard –, ma in una prospettiva di lungo termine voleva dire avere il capitale in piedi e arrivare a dimostrare se fosse possibile trovare degli sponsor in grado di finanziare questo stoccaggio di carbonio compensando le emissioni all’interno dei loro processi produttivi”.

Oltre ai vantaggi ambientali e paesaggistici, il comune di Lemie ha avuto dei vantaggi di tipo economico, le quote di assorbimento della CO2 sono state vendute sul mercato dei crediti di carbonio nel quale le aziende inquinatrici compensano le emissioni di gas serra prodotte dalle loro attività industriali. Queste risorse sono state successivamente reinvestite in opere pubbliche sul territorio.

Ed è proprio la valorizzazione delle risorse del territorio uno dei punti cardine di questa ritrovata centralità del bosco. Operare per la valorizzazione di una filiera lavorativa locale legata ai boschi significa, innanzitutto, evitare trasporti inutili e inquinanti: perché importare cippato dal Canada quando lo si può produrre sul posto? Ma una filiera a chilometro zero assume un’importanza socio-economica non indifferente, specialmente in una congiuntura storica problematica come quella attuale.

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Nell’ultimo capitolo del documentario Fernanda Giorda incontra Daniele Stovello, un giovane imprenditore che produce il cippato di qualità che alimenta le caldaie delle scuole delle stesse valli in cui viene prelevata la materia prima.

La via del bosco verrà presentato in anteprima domenica 4 ottobre, alle ore 17.30, al Cinema Massimo, nella giornata conclusiva di CinemAmbiente 2020.

[Foto La via del bosco]

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Giornalista e saggista, ha scritto di ecologia, ambiente e mobilità sostenibile per numerose testate fra cui Gazzetta, La Stampa Tuttogreen, Ecoblog, La Nuova Ecologia, Terra, Narcomafie, Slow News, Slow Food, Ciclismo, Alp ed ExtraTorino. Ha pubblicato numerosi saggi fra cui “Giornalismo online”, “Propaganda Pop”, "Cronofagia" e "Geomanzia".

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