Assandira – La Sardegna dei pastori e quella dei turisti a Venezia77

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Assandira – La Sardegna dei pastori e quella dei turisti a Venezia77 ultima modifica: 2020-09-12T08:00:30+02:00 da Emanuel Trotto
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Assandira di Salvatore Mereu presentato a Venezia77 è una tragedia familiare sullo sfondo di un agriturismo in cui la Sardegna di ieri e di oggi si scontrano

Con Assandira ritorna ancora una volta la Grecia Antica, con la sua tragedia, a raccontar la nostra contemporaneità. La madre di tutti i conflitti calza ancora come un guanto per mostrarci. Essa è uno specchio nella quale ci possiamo riflettere. Nel nostro rapporto con i luoghi natali e nei rapporti familiari. Al di fuori di qualsiasi ragionamento freudiano. A prescindere. Ancora oggi l’hybris, la tracotanza, la superbia, la prevaricazione come origine della catastrofe finale del dramma è più viva che mai. La tracotanza dei figli nei confronti dei genitori. La tracotanza di voler avere per essere. Di svalutare e snaturare qualsiasi cosa per renderla vera. E, oggi come oggi, renderla interessante. Più è fittizia, meglio è. Non fa paura, non fa riflettere. E quindi ci si approccia meglio.

Ybris (1984) è anche il titolo di un film che scrisse e diresse lo scrittore Gavino Ledda (1938). Il bambino che era stato allontanato da scuola dal padre per aiutarlo con le pecore. Che rimase analfabeta fino al servizio militare. Fino a essere, oltre che scrittore, uno stimato filologo e conoscitore della lingua sarda. E cantore della sua cultura. Un uomo che è ritornato adulto nella sua terra natia, per fare i conti con il passato, per ritrovare se stesso. Essere additato come straniero dalla sua stessa gente. Come un novello protagonista tragico il popolo lo accusa di aver tradito sostanzialmente la civiltà pastorale e contadina sarda. La colpa primigenia è dunque un tradimento di una cultura per l’altra? L’averla rinnegata è la sua colpa? Oppure è stato suo padre, il padre padrone del romanzo omonimo del 1975 la causa scatenante? Il colpevole di tutto è lui?

Assandira poster
Assandira, dal 9 settembre al cinema

Questo è lo spirito che traspare anche nel film Assandira di Salvatore Mereu tratto dall’omonimo romanzo di Giulio Angioni. Il film è stato presentato Fuori Concorso alla 77 Mostra del Cinema di Venezia e in uscita al cinema il 9 settembre. Un altro tassello nella filmografia di Mereu in cui vengono esplorati i rapporti fra tradizione e modernità della sua terra: la Sardegna. Che ha raccontato in Ballo a tre passi (2003, vincitore della Settimana della Critica a Venezia nel 2003); in Trabajone (2010) e con Bellas mariposas (2012 nella Sezione Orizzonti a Venezia70).

Capo e croce-Le ragioni dei pastori: un soffio di speranza

E che, con Assandira ha messo in scena quello da lui definito come «Il mio film più difficileDa una parte è la storia di una sfida continua alle leggi della Natura, finché la Natura non si riprende lo spazio che le è stato toltoDall’altra, dietro al racconto della trasformazione della Sardegna, è una grande tragedia classica

Qua Ledda è attore e narratore. Interpreta Costantino Saru, un vecchio pastore che vive solitario da quando sua moglie non c’è più. Il figlio, Marco, ha abbandonato l’Italia. Vive in Germania dove si è sposato con una tedesca. Lo vengono a trovare una volta l’anno solo per pochi giorni. Ma l’ultima volta è diverso. Loro sono intenzionati a stare più a lungo. Intendono aprire un agriturismo nel vecchio ovile di Costantino, chiamandolo “Assandira”, letteralmente “Saluto al sole”. Un agriturismo in cui si respiri la vera atmosfera pastorale sarda. Ad uso e consumo dei turisti stranieri.

Seppur riluttante, Costantino accetta. Accetta di interpretare un ruolo che non è un ruolo. Di fare “per gioco” il pastore. Anche se per lui non è mai stato un gioco, neppure da bambino. E qua il personaggio cinematografico e quello reale si fondono. Anche Costantino è stato allontanato da scuola da un padre padrone. La sua cultura è quella antica e ancestrale della Sardegna pastorale. Non capisce, tenta timidamente di sabotare. In quello che faceva non c’era nulla di attraente. Neppure così tanto da spingere stranieri a pagare per vederlo. Non può interpretare se stesso. Né in veste di pastore né di bandito con la doppietta. Anche questo parte di un copione per rendere ancora più interessante ciò che, ai suoi occhi, non lo è.

Gavino Ledda, lo scrittore divenuto famoso grazie al romanzo autobiografico "Padre padrone" (1975) in veste di attore protagonista.
Gavino Ledda, lo scrittore divenuto famoso grazie al romanzo autobiografico Padre padrone (1975) in veste di attore protagonista.

Divenire un figurante in una immensa messa in scena. Nella quale si presta anche Marco, impersonando, anche lui, un pastore. Nonostante Costantino gli abbia dato la possibilità di non vivere quel tipo di vita. Il conflitto fra la Sardegna di ieri e quella di oggi non potrebbe essere più evidente. In una storia ambientata negli anni ’90 ma che preannuncia l’oggi. Con il desiderio di documentare il futile. Oggi coi selfie e le stories, ieri con le Polaroid. Che gli ospiti sono invitati a scattare e a condividere. Dalla mungitura delle pecore fino a rituali pagani notturni.

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All’interno dell’agriturismo del titolo si consuma una tragedia. Una tragedia che parte dalla fine. A catastrofe avvenuta. Un incendio ha consumato l’Assandira e una pioggia torrenziale ha lavato via le colpe. Resta solo Ledda/Costantino a vagare fra i ruderi inceneriti, assieme a un cavallo e ai cadaveri di struzzi (anche loro parte dello show). Egli, come corifero tragico racconta tutta la storia, un pezzo dopo l’altro, come forma di espiazione. Espiare la colpa di aver provocato la morte del figlio nell’incendio. Di non essere stato un buon padre, o forse di esserlo stato troppo. Non essere stato un padre che lo rinchiudeva di notte nella cisterna dell’acqua se si comportava male. Forse le colpe non sono state lavate tutte.

Per far ammenda ci sono i carabinieri che cercano di fare chiarezza e chiedono a lui i come e i perché. Ma una risposta vera e propria non la conosce neppure lui probabilmente. La sola cosa certa è che le colpe travalicano le generazioni.

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Nato a Biella nel 1989, si è laureato in Storia del Cinema presso il DAMS di Torino nel 2012, ha partecipato alla rassegna stampa per l’Università al 29, 30, 31mo Torino Film Festival e ha collaborato per il Festival CinemAmbiente 2014. Collabora per diversi blog di cinema e free culture (Il superstite) e associazioni artistiche (Metropolis). Ha diretto due cortometraggi: E Dio creò le mutande (2011), All’ombra delle foglie (2012).

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