Sportin’ Life, da Berlino70 a Venezia77 l’artista ai tempi del Coronavirus

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Sportin’ Life, da Berlino70 a Venezia77 l’artista ai tempi del Coronavirus ultima modifica: 2020-09-11T08:00:08+02:00 da Emanuel Trotto
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Sportin’ Life di Abel Ferrara a Venezia77 è uno sguardo sul suo cinema. Ma anche un’accusa a un sistema inadeguato ad affrontare l’emergenza Covid-19

Sportin’ Life è un film documentario diretto da Abel Ferrara, fuori concorso a Venezia 2020.

Il cinema di Abel Ferrara è un cinema diviso. Da una parte il rigore, dall’altra la libertà. Un apollineo e dionisiaco che costella da sempre la carriera dell’autore italoamericano. Fin dai suoi film negli Stati Uniti, continuando con quelli in Italia. In particolare negli ultimi anni. I binari del rigore e della libertà si intersecano continuamente. Da una parte abbiamo Tommaso (2019, presentato a Cannes e all’ultimo Torino Film Festival). Dall’altra abbiamo Siberia (2020) presentato al 70 Festival Internazionale del Cinema di Berlino. E, ad ultimo c’è Sportin’ Life (2020), presentato alla 77 Mostra Internazionale di Arte Cinematografica di Venezia come Fuori Concorso.

Sportin’ Life
Sportin’ Life (2020)

Quello che accomuna queste tre opere è l’isolamento. Che sia mentale, voluto o dovuto. In Tommaso con dei tratti semi-autobiografici si racconta la storia del protagonista eponimo, Willem Dafoe. Vive la sua vita a Roma. Gradualmente scivola nella follia, si chiude in se stesso, confonde la realtà con l’immaginazione. Questo mentre sta scrivendo un nuovo film, di un uomo che combatte contro la Natura nelle nevi gelate. Da qui c’è l’aggancio con Siberia, recentemente uscito al cinema con Nexo Digital il 20 agosto.

Questi è un viaggio nello spazio e nell’inconscio alla scoperta di sé. Un uomo, Clint (Dafoe) si è rifugiato in una casa isolata fra montagne innevate. È solo, gestisce una locanda poco frequentata. Da che cosa è fuggito, che cosa sta realmente cercando lì da solo? Per trovare una risposta Clint decide di mettersi in viaggio.

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In questo film sono mostrati i volti dell’uomo contemporaneo. Quello che conosce il bene e il male ma che non sa andare oltre a questa conoscenza. Che non ammette le proprie colpe, e quindi sceglie l’isolamento come una forma preventiva di cura. L’ambiente naturale in questo film è puramente uno stato mentale. Le montagne diventano un luogo spettrale. Così come il deserto che si trova lungo il cammino. È uno sguardo sulla Natura per nulla oggettivo. Viene espressa una visione eucaristica. Filtrata da un uomo che ci ha fatto i conti per anni, trascendendola. Ad andare oltre il desiderio consumistico, anche dei sentimenti. Lontano dalla civiltà, in cerca di una illuminazione buddista. Siberia è l’anello centrale di questa catena cinematografica. È solido e compatto.

Abbiamo parlato, finora, di un isolamento nel cinema e nell’inconscio. Ma che succede quando questo isolamento esce dallo schermo e diviene globale? Se non addirittura pandemico? Quando l’autore stesso, senza alter ego, viene chiamato a protagonista? Da qui parte Sportin’ Life. Questi è incluso nel progetto  Self curato dal direttore artistico di Saint Laurent, Anthony Vaccariello. L’idea di base è quella di catturare i diversi aspetti del mondo della griffe attraverso lo sguardo di una serie di artisti chiamati a reinterpretarne liberamente lo spirito. Fra gli autori coinvolti vi è anche il fotografo Daido Moriyama e il regista Gaspar Noé. Quest’ultimo ha presentato Fuori Concorso al Festival di Cannes 2019 il mediometraggio Lux Æterna.

Abel Ferrara (al centro) durante l-a assegnazione, il 5 settebre del premio Jaeger-LeCoultre. Con lui sul palco il direttore della Mostra, Alberto Barbera (a sinsitra).
Abel Ferrara (al centro) durante l’ assegnazione, il 5 settembre, del premio Jaeger-LeCoultre. Con lui sul palco il direttore della Mostra, Alberto Barbera (a destra).

Sportin Life è stato presentato anche in occasione dell’assegnazione a Ferrara del premio Jaeger LeCoultre – Glory to the Filmmaker che ha avuto luogo sabato 5 settembre. Il premio, dal 2006, la Mostra lo assegna a personalità che hanno lasciato un segno nel cinema contemporaneo. Nello specifico Ferrara «per la sua indiscussa coerenza e fedeltà a un tragitto personale.» Dalle parole del direttore della Mostra, Alberto Barbera.

Il film è una riflessione sulle modalità del cinema. Si parte dalla presentazione alla Berlinale 2020 di Siberia. Si susseguono una serie di interviste sul posto in cui espone le sue idee. Più che alla drammaturgia per lui la cosa più importante da mettere in un’ora e mezza di film è il ritmo. In virtù di questo le immagini, così si susseguono. Fino a diventare una profonda riflessione sulle colpe della società occidentale, a partire da quella americana, di fronte alla pandemia di Coronavirus

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L’artista è isolato nel senso letterale. Si muove da solo, per le strade di notte. Assiste a una fine del mondo. Una fine del mondo possibile e reale finché si persegue uno stile di vita in cui l’individualismo la fa da padrone. Nel cuore del consumismo americano alberga un virus ancora più temibile. Una Nazione messa in ginocchio da un sistema sanitario inadeguato nella quale si propaganda, dalla Casa Bianca, il negazionismo. Lo stesso Paese che ha ucciso George Floyd e riconosce appena le sue colpe. Un Paese dedito al profitto e incurante delle classi più povere. La “punizione divina” del virus per Ferrara colpisce proprio le metropoli. Da sempre un girone infernale. Così viene vista la chiusura di cinema, stadi, centri commerciali. Per cominciare.

Bisogna darsi da fare e trovare la soluzione. Perché altrimenti la fine del mondo non è alle 4:44 come un suo recente film (4:44 L’ultimo giorno sulla Terra, 2012), ma dietro l’angolo.

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Nato a Biella nel 1989, si è laureato in Storia del Cinema presso il DAMS di Torino nel 2012, ha partecipato alla rassegna stampa per l’Università al 29, 30, 31mo Torino Film Festival e ha collaborato per il Festival CinemAmbiente 2014. Collabora per diversi blog di cinema e free culture (Il superstite) e associazioni artistiche (Metropolis). Ha diretto due cortometraggi: E Dio creò le mutande (2011), All’ombra delle foglie (2012).

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