La Columbia University ha assegnato i premi Pulitzer 2020, principale onorificenza mondiale in ambito giornalistico: tra i vincitori c’è il Washington Post, con i suoi reportage dedicati alla crisi climatica globale e ai punti più caldi del pianeta.
È la prima volta nell’ultimo decennio, e probabilmente nell’ultra-centenaria storia del Premio, che un lavoro dedicato nello specifico all’emergenza climatica ottiene la vittoria: lo staff del Washington Post si è aggiudicato il Pulitzer 2020, nella categoria Explanatory Reporting, grazie alla serie di reportage “2°C: Beyond the Limit” (2 gradi: oltre il limite), che ha mostrato come il riscaldamento estremo sia già realtà in molti punti della Terra e non più soltanto una minaccia teorica per il futuro.
Per trasmettere la realtà della crisi climatica in corso, giornalisti e fotografi del Post hanno realizzato 12 reportage in altrettanti “hotspot” mondiali, 12 aree in cui è già stata superata la soglia di +2 gradi centigradi rispetto all’era pre-industriale, temperatura ritenuta cruciale per il surriscaldamento del pianeta.
Un aumento che, secondo quanto affermato alla COP21 di Parigi, si dovrebbe evitare di raggiungere a livello globale per non pagare le devastanti conseguenze del climate change.
Il tutto è stato affiancato da serie di dati, elaborate con metodo scientifico e poi trasformate in forma divulgativa, per rendere tangibile e facilmente comprensibile il fenomeno attraverso grafici, parole e foto.
Svolgendo così appieno il compito del giornalismo di raccontare storie esemplari, da monito anche per chi non vive (ancora) nelle aree più colpite dal riscaldamento globale.
Pulitzer 2020, come è nata la serie “2°C: Beyond the Limit”
La serie del Washington Post sui cambiamenti climatici ha preso il via grazie alle analisi condotte a tavolino da Chris Mooney, reporter specializzato in temi ambientali.
Analizzando oltre un secolo di dati scientifici mondiali -in particolare quelli legati alle temperature, elaborati dal gruppo di ricerca climatica Berkeley Earth– il giornalista ha notato come il clima si stesse riscaldando, in molti punti della Terra, a una velocità doppia rispetto a quella prevista.
E l’aumento di 2 gradi centigradi, fissato da molti scienziati come limite massimo per evitare conseguenze catastrofiche, alla fine è risultato essere un fenomeno che oggi interessa già circa il 10 per cento del pianeta.
L’idea è stata quindi sviluppata insieme alla redattrice ambientale del Post, Trish Wilson -fino a coinvolgere in tutto un team di 53 persone tra giornalisti, fotografi, analisti, grafici e designer- con un lavoro durato svariati mesi.
I reportage hanno coperto diversi luoghi in tutto il mondo e in ogni continente, escluso l’Antartide: dalla Siberia all’Australia, dal Canada all’Angola, oltre ovviamente agli Stati Uniti.
La serie vincitrice del Pulitzer 2020 è stata avviata dallo stesso Mooney in Uruguay.
“Questa è la storia di una piccola vongola in un mondo vasto e caldo. È la storia dei pescatori che hanno imparato a raccogliere le vongole da bambini e dello scienziato che ha passato decenni a studiarle. Fino al momento in cui tutto è cambiato. Ed è una storia di vulnerabilità, di come le persone possano costruire la loro vita intorno a una caratteristica del mondo naturale che sembra fissa e affidabile, come la pesca delle vongole, solo per poi vederla ribaltata a causa del cambiamento del clima”, scriveva il reporter sul suo profilo Twitter l’11 settembre 2019, annunciando la pubblicazione del primo reportage.
Pulitzer 2020 e surriscaldamento globale, storie da un mondo già cambiato
Reporter e fotografi sono stati inviati dal Washington Post a raccontare le storie di un mondo cambiato prima del previsto, e in peggio, a causa del surriscaldamento globale.
Ecosistemi stravolti, a ogni latitudine. Dalle acque tormentate del Mare di Ochotsk, documentate dal fotografo Michael Robinson Chavez trascorrendo due giorni su una minuscola imbarcazione, fino a un popolare resort del New Jersey, dove un tempo si praticava la pesca sul ghiaccio e oggi l’acqua del lago non è neppure ghiacciata per tutto l’inverno.
Tra le storie raccontate da “2°C: Beyond the Limit” ci sono poi quelle del reporter Darryl Fears, che ha fatto conoscere la distruzione delle foreste di alghe della Tasmania a causa del riscaldamento dell’oceano, e di Steven Mufson, che ha parlato dell’aria condizionata utilizzata negli spazi esterni del Qatar, come stadi e mercati.
Il progetto ha incluso anche uno strumento online, che permetteva ai lettori di navigare tra i dati sull’aumento delle temperature negli ultimi 120 anni.
«Nel produrre questa serie, il nostro staff non solo ha prestato attenzione alla Scienza, ma ha anche elaborato una propria analisi più profonda. Poi, con le risorse della nostra organizzazione giornalistica, abbiamo dato un volto umano ai numeri, mostrando il grave impatto che il riscaldamento estremo sta già avendo sulle comunità di tutto il mondo», ha scritto sulle pagine del Washington Post il direttore della testata statunitense, Martin Baron.
Baron (che molti possono ricordare tra i protagonisti del caso Spotlight, da cui è stato tratto il film vincitore del Premio Oscar 2016) sottolinea anche come il progetto «rende evidente l’urgenza della questione climatica, in quanto la vita delle persone e i loro mezzi di sussistenza stanno scomparendo. Per quanto non sia nostro compito formulare politiche o raccomandazioni su cosa fare al riguardo, questo lavoro serve da monito».
Il Premio Pulitzer e i temi ambientali
I premi Pulitzer per il giornalismo sono stati assegnati per la prima volta nel 1917, grazie a un lascito dell’editore Joseph Pulitzer alla Columbia University.
Normalmente a essere premiati, nelle varie categorie, sono reportage su problematiche socio-economiche o politiche, oppure riguardo a discriminazioni, torture, stragi, scandali sessuali o guerre.
I temi ambientali, nell’ultimo decennio, hanno ricevuto alcuni riconoscimenti indiretti attraverso articoli e foto che raccontavano di alluvioni, siccità, frane, incendi e tornadi in svariate parti del mondo, oppure grazie a inchieste come quella sui rischi del DilBit (premio National Reporting del 2013 a InsideClimate News) o al racconto di Kathryn Schulz per il New Yorker dedicato alla rottura della linea di faglia di Cascadia (premio Feature Writing 2016).
Giornalismo climatico: il The Guardian ripensa alle immagini usate per raccontare il climate change
Mai, finora, il riconoscimento era stato però assegnato a un lavoro focalizzato sul climate change.
Quest’anno, invece, oltre a “2°C”, anche un altro reportage finalista era dedicato al tema, con la copertura dell’innalzamento del livello del mare in California portata avanti al Los Angeles Times da Rosanna Xia, Swetha Kannan e Terry Castleman.
L’indagine del Washington Post ha vinto il Pulitzer 2020 nella categoria Explanatory Reporting, dedicata ai reportage esplicativi che fanno luce su “un argomento significativo e complesso, dimostrando padronanza dell’argomento, scrittura lucida e presentazione chiara, utilizzando qualsiasi strumento giornalistico disponibile”, come recita il sito ufficiale del premio.
Il prestigioso riconoscimento è stato assegnato a Mooney, Wilson e colleghi per aver “mostrato con chiarezza scientifica i terribili effetti delle temperature estreme sul pianeta”.
Causa COVID-19, i vincitori del premio non hanno potuto seguire -come da tradizione- la cerimonia all’interno della sede del giornale.
L’annuncio è stato dato da Dana Canedy, amministratrice (e già vincitrice) del Pulitzer Award nonché ex giornalista del New York Times, in collegamento dal proprio salotto di casa.
Ciascun premiato ha festeggiato dalla propria abitazione, dove è in smart working, e online.
La particolarità è stata colta da molti osservatori, anche sui social media, che hanno ricordato come oggi tutte le attenzioni siano rivolte alla pandemia di Coronavirus, ma proprio la scelta del Pulitzer 2020 è a ricordarci come anche la crisi climatica sia una minaccia reale e attuale per il pianeta e per l’Umanità.
E, come ha commentato il direttore del Post, Baron, «in entrambe le situazioni possiamo farcela solo se prestiamo attenzione alla Scienza».
È emergenza climatica: 11mila scienziati lanciano l’allarme proponendo sei misure urgenti
[Cover Image: foto realizzata in Alaska da Bonnie Jo Mount e presente all’interno del reportage “2°C: Beyond the Limit” – Twitter @bonjomo]