Tutto l’oro che c’è – Dal Ticino alla ricerca della semplicità

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Tutto l’oro che c’è – Dal Ticino alla ricerca della semplicità ultima modifica: 2020-01-12T10:27:38+01:00 da Emanuel Trotto
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La ricerca dell’essenzialità è divenuta qualcosa di davvero importante, come dimostra anche il film Tutto l’oro che c’è, presentato al 37° Torino Film Festival.

In un periodo frenetico e febbrile di accumulo, di classifiche, di vuoto pneumatico si è persa una certa visione. Quella della semplicità. Proprio quella semplicità di quando si era piccoli e si scopriva tutto la prima volta, prima di essere corrotti dal mondo che ci circonda. Cercare la semplicità è un po’ come far tornare indietro le lancette dell’orologio, fino ad arrivare a svitarle completamente. Per sospendere il tempo e galleggiare in un limbo.

Tutto l'oro che c'è
Tutto l’oro che c’è, un film di Andrea Caccia che ha partecipato al 37° TFF

Si tratta di un percorso che ha intrapreso Andrea Caccia tramite il suo ultimo lavoro Tutto l’oro che c’è. Il film è stato prodotto e sostenuto dalla Film Commission Torino Piemonte, dalla Lombardia Film Commission e dalla Televisione della Svizzera Italiana, fra gli altri. Esso è stato presentato un anno fa all’International Film Festival Rotterdam e successivamente nella sezione Fuori Concorso di TFFDoc al 37 Torino Film Festival. È uscito in sala il 15 dicembre 2019, distribuito dalla Dugong. 

Il film si pone come un prodotto, nel panorama documentario, assolutamente autoriale e soggettivo. Parte da un viaggio lungo le sponde del Ticinofiume più grande, dopo il Po, per portata d’acqua, il più ricco d’oro e il più pulito d’Italia. Prende le mosse dalle sue fonti, sulle montagne svizzere. Il racconto sembra voler prendere una direzione precisa, ma poi, si perde intenzionalmente. Come i tanti rami di un fiume che si diramano e si perdono. Un po’ come la memoria e le esperienze della vita. Il cinema si fa racconto che potrebbe abbracciare tutto l’universo se potesse. Questo tramite una parentesi e una digressione dietro l’altra. 

Tutto l'oro che c'è
Tutto l’oro che c’è, un’immagine tratta dal film

«L’idea del film -racconta il regista- ha a che fare con una questione autobiografica. Io sono nato sulle sponde piemontesi del fiume, e ci ho vissuto fino a diciassette anni. Dopo quindici anni a Milano sono ritornato sulla sponda lombarda con mia moglie e il primo dei miei due figli. Avendo frequentato la riva opposta del fiume con mio padre mi sono ritrovato il fiume che scorreva, anziché da sinistra verso destra, da destra verso sinistra. Questo mi ha fatto entrare in una dimensione spaziale e esistenziale nuova. Prima ero il figlio, ora sono il padre. Dai pomeriggi lungo il fiume con mio figlio, Filippo, è nata l’idea di un film che potesse raccontare come, nel corso della nostra vita, sia necessario continuamente cambiare il nostro sguardo[…] A partire da come il mio sguardo, nel corso del tempo, si è modificato […] Quando faccio film cerco sempre di confrontarmi con qualcosa allo stesso tempo lontano da me e dentro di me».

Il racconto, se così si può dire, è incentrato su cinque personaggi principali: un ragazzino, un cacciatore, un naturista, un carabiniere e un anziano cercatore d’oro. Essi rappresentano cinque fasce d’età, cinque fasi della vita e altrettanti modi di rapportarsi ad essa.

Il ragazzino è la graduale scoperta e la gioia di conoscere, è curioso. Il cacciatore (indicativamente sulla trentina) è il giovane adulto che, con arroganza, cerca di prendere con la forza il più possibile. Lo fa avvalendosi della poca conoscenza accumulata con una presunta saggezza propria della sua età. 

Il naturista (sui quarantacinque anni) è colui che, nauseato dal prendere, si spoglia (letteralmente) e cerca un nuovo Eden assimilando il più possibile con qualsiasi poro della sua pelle. Il carabiniere (fra i cinquanta e i sessanta) è quasi interpretabile come quella ricerca dell’ordine che si effettua indagando, zoomando, sui ricordi primigeni. Lo scopo è cercare di dare loro un senso e una visione nuova. Il cercatore d’oro, settantenne, è colui che, facendo tesoro di tutte le esperienze, raccoglie e setaccia più volte. Egli lascia indietro il superfluo, per trovare quelle pagliuzze d’oro che illuminano la vita, rendendola più serena. Lo stretto necessario. 

Tutto l'oro che c'è
Tutto l’oro che c’è, uno dei cinque personaggi le cui storie vengono narrate nel film

Il tutto avviene lungo le rive del fiume. Il Ticino qua assume un ruolo puramente metaforico. Può essere qualsiasi fiume. Un non-luogo. Il fiume è l’esistenza umana. O l’essenza stessa del percorso umano. E vicino all’uomo, c’è la Natura. Dell’umana ricerca febbrile della semplicità (anche assolutista), la Natura non se ne cura. Al contrario la Vita prosegue, con le sue piccole storie. Coi cinghiali e i caprioli che pascolano nella bruma mattutina. Con gli insetti che si muovono, vivono e combattono le loro piccole grandi battaglie. Le lumache scivolano, come se nulla fosse, lungo la canna cromata del fucile del cacciatore. Egli, ingenuamente dorme sotto un albero, mentre è circondato. 

Si tratta di un paesaggio quasi irreale e inospitale per l’uomo. Tutte le strutture, da esso costruite lungo il Ticino, sono irrimediabilmente abbandonate e avvolte dagli alberi. Gli stessi personaggi, più si addentrano, più esplorano, più paiono desiderosi di fuggire. Verso un posto più asetticamente rassicurante. Come il bar, anonimo e vuoto, nel quale si ritrova il carabiniere alla fine della sua “indagine”. C’è un continuo gioco di specchi fra personaggi, l’uno lo specchio deformato dell’altro e viceversa. Eppure tutto fa parte dell’equilibrio. In cui la presenza umana non è un “in più” o una nota stonata. Fa parte del gioco.

Proprio con il gioco e lo svago si apre e si chiude il film. Inizia con dei bambini che giocano a nascondino fra i massi, alle fonti del Ticino. Si chiude con degli adulti che fanno grigliate sulle sponde sassose del fiume, ascoltando musica latinoamericana. Questi adulti sono sereni così come lo erano i bambini dapprincipio. Hanno davvero trovato quella favoleggiata semplicità? Lo scorrere dell’acqua in sottofondo suggerisce che sono a buon punto. Ma, si sa, il corso del fiume cambia continuamente.  

Tutto l’oro che c’è – Dal Ticino alla ricerca della semplicità ultima modifica: 2020-01-12T10:27:38+01:00 da Emanuel Trotto

Nato a Biella nel 1989, si è laureato in Storia del Cinema presso il DAMS di Torino nel 2012, ha partecipato alla rassegna stampa per l’Università al 29, 30, 31mo Torino Film Festival e ha collaborato per il Festival CinemAmbiente 2014. Collabora per diversi blog di cinema e free culture (Il superstite) e associazioni artistiche (Metropolis). Ha diretto due cortometraggi: E Dio creò le mutande (2011), All’ombra delle foglie (2012).

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