Dal Canada alla Patagonia, dall’Italia agli Stati Uniti, il libro del ricercatore torinese ci guida alla scoperta del ruolo fondamentale del mondo vegetale negli equilibri ecosistemici e climatici della Terra
Quando un incendio, un’alluvione o un’eruzione si abbattono su una foresta, trasformando quello che era un bosco in una terra desolata, siamo portati a credere che la vegetazione sia persa per sempre. Si tratta di un vizio di forma dell’antropocentrismo, la tendenza a misurare fenomeni naturali con tempistiche umane. La resilienza del bosco, libro d’esordio di Giorgio Vacchiano uscito qualche settimana fa per Mondadori, ci aiuta a comprendere come le foreste riescano a sopravvivere e a rinascere anche al cospetto degli eventi più drammatici.
Ricercatore e docente in Gestione e pianificazione forestale presso l’Università Statale di Milano, Vacchiano regala agli appassionati del genere un saggio che riesce a conciliare la divulgazione scientifica e gli aneddoti personali, l’avanguardia degli studi forestali con considerazioni sulla crisi climatica e sul rapporto del mondo vegetale con gli altri esseri viventi. Le doti di resilienza dei boschi riusciranno a sopportare le pressioni senza precedenti imposte dal clima? Vacchiano prova a rispondere partendo dal racconto dei fenomeni osservati durante la sua attività di ricerca oppure durante i suoi viaggi.
Sin dalle prime pagine, La resilienza del bosco fa piazza pulita di molti stereotipi e facili allarmismi: “Quando un disturbo (un incendio, un’alluvione, un’eruzione) colpisce una foresta, ciò che segue non è la distruzione totale. Al contrario. Le catastrofi sconvolgono gli ecosistemi, ma al tempo stesso aprono la strada a nuove specie animali e vegetali”. Un esempio? Il Pinus contorta, una conifera molto diffusa nel Parco di Yellowstone, possiede la particolarità di liberare i semi solo quando un fuoco le scalda, sciogliendo le resine che le tengono sigillate. Dopo il fuoco, liberati dall’ombra delle piante madri, i giovani germogli possono godere di tutta la luce necessaria per crescere.
Il caso più emblematico di resilienza del mondo vegetale è quello di Mount Saint Helens, il vulcano che nel maggio 1980 travolse i boschi situati sulle proprie pendici con 3 miliardi di metri cubi di fango, cenere e neve in fusione. Lo scenario apocalittico post-evento fece pensare a una definitiva desertificazione dell’area, ma, nel corso degli anni, la foresta ha fatto ritorno senza l’intervento umano. Sono stati gli uccelli a portare i semi e i tronchi caduti a proteggere le giovani piantine dal vento e dalla pioggia.
Fra le più straordinarie prove di resilienza vi sono quelle offerte dai cipressi calvi, piante che riescono a sopravvivere in ambienti sommersi grazie a un robusto contrafforte radicale, ma anche a uno pneumatoforo, una radice che cresce verso l’alto e riesce a catturare l’ossigeno atmosferico e a trasportarlo all’apparato radicale.
Vacchiano spiega come il riscaldamento globale e l’aumento delle temperature stiano trasformando le nostre foreste. In condizioni di persistente siccità, gli alberi devono evitare di perdere la poca acqua disponibile, quindi chiudono gli stomi e interrompono la fuoriuscita di vapore acqueo dalle foglie. In un contesto di incremento delle temperature, le specie che, nel corso della loro evoluzione, hanno sviluppato la capacità di chiudere gli stomi, sono favorite rispetto a quelle che non adottano questa strategia. Per questa ragione in Valle d’Aosta, nei boschi di Verrayes studiati da Vacchiano, la roverella sta sostituendo il pino silvestre.
La resilienza del bosco ha un grande merito, quello di contribuire a fare chiarezza sui numerosi preconcetti con i quali guardiamo alla foresta come a qualcosa di intoccabile. L’uomo ha creato i problemi connessi alla crisi climatica e l’uomo può provare a risolverli, aiutando la foresta a reagire più velocemente ed efficacemente di quanto non possa fare con i propri mezzi. Per tutelare e mantenere in salute i boschi è necessario effettuare dei diradamenti mirati oppure praticare il fuoco prescritto, attività che nell’immaginario comune vengono percepite come minacciose, ma che sono, in realtà, pensate per garantire una maggiore sicurezza ai boschi e a chi vive ai loro confini.
Come spiega Vacchiano nell’epilogo del suo saggio, “se c’è una divulgazione scientifica di cui oggi abbiamo un disperato bisogno è quella in grado di spiegare in maniera chiara e coinvolgente che cultura e natura, uomo e ambiente, crisi climatica e diritti umani sono in realtà due facce di uno stesso, unico sistema. Che la resilienza del bosco è, anche la nostra resilienza”.
Dal Canada alla Patagonia, dall’Italia agli Stati Uniti, quello che prende forma è un racconto nel quale la passione del ricercatore e la curiosità dell’uomo si confondono senza soluzione di continuità. Scritta da un accademico di fama internazionale, La resilienza del bosco è un’opera divulgativa arricchita da un consistente apparato di note per chi voglia approfondire. Una lettura imperdibile per i sempre più numerosi appassionati del mondo vegetale.
[Foto Vacchiano e Pixabay]