Da Jonas a Greta: ambiente, responsabilità, futuro

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Da Jonas a Greta: ambiente, responsabilità, futuro ultima modifica: 2019-12-31T08:00:08+01:00 da Davide Mazzocco
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A quarant’anni dall’uscita in libreria, “Il principio responsabilità” sembra parlare del nostro presente e delle sue urgenze

Perché Greta Thunberg è un personaggio così divisivo? Perché, in un contesto in cui le forze politiche non fanno altro che impegnarsi per la propria autoconservazione e per il consolidamento del consenso, il discorso politico della sedicenne di Stoccolma risulta così scomodo? Forse perché è un’adolescente che rimprovera gli adulti, una giovane donna che ammonisce gli uomini di potere, una ragazza con la sindrome di Asperger che risveglia le masse dormienti?

O forse perché si tratta di una nativa digitale che sbatte in faccia ai boomer e alle generazioni successive la responsabilità di aver fatto doppiare all’umanità il punto di non ritorno ambientale?

Il discorso della responsabilità è indigeribile per coloro che non sono in grado di rimodellare le proprie abitudini. Come diceva Jonathan Safran Foer in un incontro tenutosi qualche mese fa a Torino “tutti noi vogliamo convincerci che ci importa dei cambiamenti climatici. La questione è che questa cosa va dimostrata: non con una frase, con un manifesto, con una spilla o con una maglietta. No, questo non è più il momento di dire la cosa giusta, questo è il momento di fare la cosa giusta. Le statistiche ci dicono che, negli Stati Uniti, il 91% degli americani accetta i dati scientifici sui cambiamenti climatici come veri. Il punto nodale non è cosa sappiamo, ma la necessità di non far esaurire il nostro ruolo nella semplice consapevolezza del problema. È il momento di passare all’azione: va bene che ci sia una dimensione emotiva, ma bisogna fare qualcosa”.

Il 2019 che volge al termine verrà ricordato come l’anno della chiamata alla responsabilità collettiva da parte di Greta. Quarant’anni fa un filosofo tedesco, Hans Jonas, aveva già tracciato il solco che in questi mesi è diventato più profondo grazie all’iconica ragazza di Stoccolma e ai milioni di seguaci che hanno riempito le piazze di tutto il mondo.

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Nel 1979 Hans Jonas pubblica Das Prinzip Verantwortung, uscito alcuni anni dopo per Einaudi con il titolo Il principio responsabilità e il sottotitolo Un’etica per la civiltà tecnologica. Le riflessioni contenute nel libro sono estremamente lungimiranti e propongono un nuovo paradigma etico di fronte ai cambiamenti connessi allo sviluppo tecnologico. Alla fine degli anni Settanta Jonas sostiene come, in virtù del progresso tecnologico, l’umanità sia divenuta più pericolosa di quanto non sia stata in passato.

Secondo Jonas, persa la propria neutralità, la tecnologia deve essere oggetto di un’analisi che non può continuare a rimanere imbrigliata nelle maglie dell’antropocentrismo: “Nessun’etica del passato doveva tenere conto della condizione globale della vita umana e del futuro lontano, anzi della sopravvivenza della specie. Proprio il fatto che essi siano oggi in gioco esige, a dirla in breve, una nuova concezione dei diritti e dei doveri, per la quale né l’etica né la metafisica tradizionali offrono i principi e, men che mai, una dottrina compiuta”.

Sono parole di quarant’anni fa, quasi imbrazzanti se si pensa a come il mercato dalla fine degli anni Settanta a oggi abbia fatto piazza pulita di ogni orizzonte etico sia nel mondo del lavoro (delocalizzazione, restringimento dei diritti, sfruttamento del lavoro minorile, regressione delle conquiste ottenute nei campi pensionistico, previdenziale e infortunistico, gig economy) che in quello dei consumi (fast fashion, obsolescenza programmata, economia lineare portata al parossismo, Amazon). Crollato il bipolarismo ideologico della seconda metà del Novecento, il mondo ha abbracciato all’unanimità la religione dei consumi, incurante delle conseguenze per l’ambiente. Il combinato di incremento demografico e crescita dei consumi ha messo sotto stress il Pianeta, con conseguenze drammatiche per il clima, le risorse idriche, la respirabilità dell’aria e la sopravvivenza di interi ecosistemi.

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Le lungimiranti parole con cui, nel 1979, Jonas auspicava il passaggio da un’etica antropocentrica a una morale biocentrica sono rimaste inascoltate: “È quantomeno non privo di senso chiedersi se la condizione della natura extraumana, la biosfera, ora sottomessa al nostro potere nel suo insieme e nelle sue parti, sia appunto diventata qualcosa che è dato in custodia all’uomo e avanzi perciò nei nostri confronti una sorta di pretesa morale, non soltanto a nostro ma anche a suo favore e in base a un proprio diritto. (…) Questo comporterebbe la ricerca non soltanto del bene umano, bensì anche del bene delle cose extraumane, estendendo il riconoscimento dei ‘fini in sé’ al mondo naturale e includendone la cura nel concetto di bene umano”.    

Quattro decenni fa Jonas aveva già compreso come la tecnica si fosse trasformata “in un illimitato impulso progressivo della specie” e il confine fra la polis e la natura fosse stato ormai cancellato: “La città degli uomini, un tempo un’enclave nel mondo non-umano, si estende ora alla totalità della natura terrena e ne usurpa il posto. La differenza tra l’artificiale e il naturale è sparita, il naturale è stato fagocitato dalla sfera dell’artificiale”. Nel 1979 la percentuale della popolazione urbana era del 38,9%, nel 2018 ha toccato il 55,27%. Jonas aveva già capito come il ribaltamento degli equilibri fra città e campagna sarebbe stato cruciale.

Nel richiamare i lettori alle proprie responsabilità, Jonas propone quattro imperativi dell’agire umano:

“Agisci in modo che le conseguenze della tua azione siano compatibili con la permanenza di un’autentica vita umana sulla terra”;

“Agisci in modo che le conseguenze della tua azione non distruggano la possibilità futura di vita”;

“Non mettere in pericolo le condizioni della sopravvivenza indefinita dell’umanità sulla terra”;

“Includi nella tua scelta attuale l’integrità futura dell’uomo come oggetto della tua volontà”.

Ben conscio dei limiti dello sviluppo, Jonas auspica una trasformazione valoriale tale da diffondere uno spirito di frugalità e austerità assolutamente estraneo alla società capitalistica. Il filosofo tedesco ha però ben compreso come i pericoli di un uso massiccio della tecnica siano troppo indeterminati per raggiungere le coscienze dei singoli. La politica deve imparare ad andare oltre le necessità del momento, la democrazia che privilegia gli interessi contingenti è infatti inadeguata: “Ciò che non è esistente non possiede nessuna lobby e i non nati sono impotenti. Pertanto il rendiconto dovuto a questi ultimi non è ancora una realtà politica nell’attuale processo decisionale, e quando essi lo potranno esigere, noi, i colpevoli, non ci saremo più”.

Ed ecco che da Jonas arriviamo a Greta, ai discorsi nei quali la ragazza svedese parla di responsabilità non assunte, tempo perso e futuro compromesso. I decisori non pensano al futuro, ma solamente a mettere il potere e il consenso in cassaforte per il maggior tempo possibile. Un vero cambiamento potrà esserci solamente grazie all’intervento della politica, troppo facile avallare l’idea che possano essere le scelte individuali a salvare l’umanità.

Se la politica vuole realmente cambiare lo stato delle cose deve prendere decisioni lungimiranti, fare scelte che potranno essere impopolari sul breve e sul medio termine, ma resilienti sul lungo. Ne Il principio responsabilità Jonas si spinge sino ad auspicare una tirannide finalizzata al bene comune, un dispotismo verde in grado di far passare rimedi difficilmente sopportabili all’interno del sistema capitalistico.

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Il concetto verrà ripreso da Alex Langer, nei Colloqui di Dobbiaco del 1994: “L’altro ‘rimedio estremo’ che si potrebbe agitare, sarebbe lo ‘Stato etico ecologico’, l’eco-dirigismo o eco-autoritarismo possibilmente illuminato e possibilmente mondiale. Visto che l’umanità ha abusato della sua libertà, mettendo a repentaglio la propria sopravvivenza e quella dell’ambiente, qualcuno potrebbe auspicare una sorta di tutela esperta ed eticamente salda ed invocare la dittatura ecologica contro l’anarchia dei comportamenti anti-ambientali”.

È passato un quarto di secolo dalle parole di Langer e un autoritarismo strisciante e per nulla verde ha trovato spazio nell’Unione Europea. Nulla di ciò che Jonas aveva auspicato si è realizzato, il punto di non ritorno è stato doppiato e, nella strategia di resilienza all’impatto di due secoli e mezzo di sviluppo incontrollato, l’eredità del filosofo tedesco è nelle mani di Greta e dei ragazzi del Fridays for Future.

[Foto Pixabay]

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Giornalista e saggista, ha scritto di ecologia, ambiente e mobilità sostenibile per numerose testate fra cui Gazzetta, La Stampa Tuttogreen, Ecoblog, La Nuova Ecologia, Terra, Narcomafie, Slow News, Slow Food, Ciclismo, Alp ed ExtraTorino. Ha pubblicato numerosi saggi fra cui “Giornalismo online”, “Propaganda Pop”, "Cronofagia" e "Geomanzia".

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