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Il vero volto degli allevamenti intensivi: Greenpeace lancia l’allarme deforestazione per il Gran Chaco

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Il vero volto degli allevamenti intensivi: Greenpeace lancia l’allarme deforestazione per il Gran Chaco ultima modifica: 2019-09-18T08:00:29+02:00 da Davide Zarri
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Un’indagine dell’associazione ambientalista fa luce sulla relazione tra allevamenti intensivi di bestiame e deforestazione in Sudamerica.

Le grandi aziende argentine dedite alla produzione e lavorazione di carne si stanno letteralmente divorando l’America Latina.

Lo rivela “Foreste al macello: il caso del Gran Chaco”, il nuovo rapporto di Greenpeace sullo stato di deforestazione del Gran Chaco, la più grande foresta tropicale del Sudamerica dopo l’Amazzonia.

Deforestazione alberi foresta

Si tratta di un ecosistema davvero enorme, che si estende per oltre 1,1 milioni di km quadrati fra Argentina, Paraguay e Bolivia.  Il Gran Chaco è la casa di oltre 4 milioni di persone, nonché di un’infinità di specie animali differenti. Negli ultimi anni, tuttavia, si è registrato uno dei più alti tassi di deforestazione al mondo.

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Greenpeace ha trascorso oltre un anno ad analizzare ed indagare estensione e ragioni di un problema che vede coinvolti tre stati, già inseriti in passato nella lista dei dieci paesi con il tasso più alto di deforestazione al mondo.

Questo problema interessa in maniera particolare l’Argentina, dove, secondo i dati del ministero dell’Ambiente locale, tra il 1990 e il 2014 sono andati in fumo circa 7.226.000 ettari di foreste, una superficie pari ad Olanda e Belgio messi assieme.

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Il rapporto di Greenpeace rivela come le principali cause di questa deforestazione siano da rintracciarsi nell’espansione indiscriminata delle piantagioni di soia e degli allevamenti intensivi di carne.

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Carne, questa, che viene perlopiù esportata, anche in virtù del piano strategico 2010-2020 approvato dal governo argentino che ha visto la rimozione delle tasse sull’esportazione di carne bovina. Risultato di ciò, tra il 2017 e il 2018 le esportazioni di carne argentina sono aumentate del 77%. Tra le destinazioni principali, dietro a big come Cina e Russia, si registrano l’Unione europea e l’Italia.

Le deforestazioni che si verificano in Sud America e la carne che compriamo abitualmente al supermercato sono dunque fenomeni tutt’altro che scollegati tra loro. «Lo scorso anno l’Italia – ha sottolineato Martina Borghi di Greenpeace Italia – ha importato dall’Argentina 5.800 tonnellate di carne fresca, diretta principalmente in Emilia-Romagna, che ospita gran parte delle aziende di trasformazione e distribuzione di carne».

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Il degrado, lo sfruttamento e la deforestazione di questi terreni stanno lentamente ma inesorabilmente compromettendo gli equilibri di un ecosistema che rappresenta uno dei principali polmoni verdi del mondo. Una serie di specie animali già a serio rischio di estinzione potrebbero davvero scomparire. È l’esempio del giaguaro, che in Argentina oggi conta appena 250 esemplari.

Specie felina decimata deforestazione allevamento agricoltura intensiva

Purtroppo, la situazione sembra destinata a peggiorare. Il rapporto denuncia come, alla luce del recente accordo commerciale tra Unione Europea e Mercosur [N.d.R. il mercato comune dell’America meridionale che riunisce Argentina, Brasile, Paraguay e Uruguay], il governo argentino abbia in cantiere una serie di nuovi progetti per espandere ulteriormente gli allevamenti intensivi, cosa che metterebbe a rischio ulteriori 10 milioni di ettari di foreste della regione.

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Per questa ragione, Greenpeace ha lanciato un appello, chiedendo alle aziende argentine produttrici di carne di rendere la propria filiera trasparente e libera dalla deforestazione e dalla violazione dei diritti umani. L’organizzazione ha anche chiesto che l’Unione europea si impegni a garantire che i prodotti importati da altri paesi provengano da filiere sicure e responsabili, che non abbiamo avuto gravi impatti su ambiente e diritti umani in altre parti del Pianeta.

campi coltivati

Impietoso il commento finale della Borghi: «Le foreste catturano circa un terzo dell’anidride carbonica rilasciata ogni anno a causa della combustione di gas, petrolio e carbone. Se vogliamo evitare l’aumento delle temperature oltre il grado e mezzo, dobbiamo esigere che ciò che resta delle foreste venga protetto».

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Classe 1992, di origini bolognesi, ha vissuto i suoi ultimi cinque anni con la valigia in mano. Ambasciatore italiano all’estero, è innamorato della sua terra, con i suoi colori, i suoi odori, i suoi sapori. Laureato in Food System Management all’Università di Bologna, ha una passione per il cibo, le lingue e la politica. Creativo, dinamico, affascinato dall’innovazione ed il cambiamento, nutre un interesse genuino per tutti i temi relativi alla sostenibilità. Alla continua ricerca della meraviglia, sostiene con forza che solo la conoscenza renda le persone davvero libere.

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