Crash – La tecnologia fa regredire i rapporti umani a Venezia76

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Crash – La tecnologia fa regredire i rapporti umani a Venezia76 ultima modifica: 2019-09-06T13:00:37+02:00 da Emanuel Trotto
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La fantascienza, molte volte, non è quello che ci si aspetta. C’è una fantascienza più lontana, eterea, siderale, che conosciamo tutti. E c’è una fantascienza più insidiosa e perturbante perché affonda nella mente. E da essa si ritorce pure sul piano fisico, sino a divenire qualcosa di più concettuale. Si tratta di qualcosa di molto vicino e atttuale. Nella letteratura questo lo hanno saputo rendere bene autori come Aldous Huxley, William Burroghs e James G. Ballard.

Andando a leggere le loro opere letterarie costoro, più che una fiction futuribile hanno realizzato una psiche futuribile. Huxley, che non ha mai nascosto e praticava regolarmente l’uso della mescalina a partire dal 1953, ha aperto (letteralmente) le porte della percezione. Porte che Jim Morrison ha fatto sue, paternizzandole artisticamente. Burroghs si è mosso all’interno dei cupi meandri della Beat Generation. Essa corrodeva dall’interno l’American Way of Life degli anni ’50, troppo perfetto e lucido. Con la sua scrittura Burroghs fa volare i lettori in caleidoscopi e voli pindarici da un segmento all’altro del suo Pasto Nudo. Una mente che si trasforma in una carne vivida e sanguinante e umettosa. Gli uomini sono mutanti, le città paesaggi metafisici e oscuri.

Crash

Questo lo accomuna a Ballard. Con lui lo spazio interiore diviene distopia totale. Una distopia ambientale (Il condominio) e fisica che influisce sui rapporti. Cos’è la causa di tutto ciò? La tecnologia che sfalda l’ambiente naturale e lo rende poroso e asettico come il cemento armato e l’asfalto. I fiumi diventano reti di autostrade su cui macchine cromate sfrecciano come scarafaggi. Senza soluzione di continuità. Questa modifica esteriore modifica profondamente gli uomini. La tecnologia rende asettico sia l’istinto riproduttivo che la passione amorosa. A ciò ha lasciato spazio all’algida e masturbatoria ricerca di appagamento. E tutto diviene freddo e meccanico. 

Lui stesso scrive. «Voyerismo, disgusto di sé, la base infantile dei nostri sogni e dei nostri desideri – questi mali della psiche che sono ora culminati nella perdita più atroce del secolo: la morte del sentimento. (…) Documentare i disagevoli piaceri del vivere in questo glauco paradiso è divenuto sempre più compito della fantascienza. (…) Il “fatto” principale del ventesimo secolo è il concetto di possibilità illimitata. Questo predicato della scienza e della tecnologia si fonda sul concetto di moratoria al passato (di irrilevanza, anzi di morte del passato) e sull’illimitatezza di alternative fornite dal presente».

«Il vero argomento del romanzo moderno tradizionale è (…) la razionalizzazione del senso di colpa e dell’estraniazione, e i suoi elementi sono l’introspezione, il pessimismo e la sofisticazione. Ora, invece, se c’è una cosa che si attanaglia al ventesimo secolo, questa è proprio l’ottimismo, l’iconografia della promozione dei prodotti di massa, dell’ingenuità e il godimento scevro di sensi di colpa, di tutte le possibilità dell’intelletto».

Questi passaggi sono stati presi dall’introduzione francese del suo romanzo Crash (1973) – e inclusa come postfazione della attuale versione italiana edita da Universale Economica Feltrinelli. Nel solco perturbante della modernità si insinua un romanzo come Crash. Una fantascienza delle emozioni e dei rapporti umani calati in una contemporaneità vicina e d’impatto. Come gli incidenti stradali che si trasformano in osceni amplessi dal sapore cyberpunk. Anticipano, quasi di tredici anni le fusioni fra l’uomo e la macchina, la carne che si fa metallo dei primi lavori cinematografici di Shin’ya Tzukamoto. The Phantom of Regular Size (1986) e Tetsuo (1989) sono figli della nuova carne. Essa si genera dalla morte di quella biologica. Una eterna mutazione che diviene quasi un’evoluzione accelerata a ritmo di tachimetro.

E si arriva, finalmente, a David Cronenberg. Un anno dopo il Leone alla carriera alla 75ma Mostra del Cinema di Venezia, viene proposto all’interno della sezione Venezia Classici Restauri, la sua trasposizione da Ballard di Crash (1996).

Crash è una storia nichilista. La vicenda di Ballard viene spostata cronologicamente di un ventennio. Sono gli anni Novanta. All’edonismo anni ’80 viene lasciato posto alla sobrietà. Alla freddezza. Alla necessità di un ritorno alle origini. In una sorta di regressione animale, per certi versi. Il desiderio erotico espresso unicamente tramite gli incidenti stradali è una raccapricciante evoluzione dello sprezzo della morte e glorificazione della tecnologia dei Futuristi. Un volere sempre di più, anche doloroso. Ammaccature e graffi divengono cicatrici.

David Cronenberg sul set del film
David Cronenberg sul set del film

Il corpo umano martoriato diviene altrettanto indistinguibile e inanimato. Come il ginocchio di Ballard (James Spader) con le viti mediche all’inizio del film. O il personaggio di Gabrielle (Rosanna Arquette), talmente stretta in cursori e busti ortopedici da essere oramai un tutt’uno con essi. Uno dei protagonisti, Vaughan (Elias Koteas) ambisce alla «ricostruzione del corpo umano attraverso le nuove tecnologie».

Delle domande sorgono spontanee. Ora dobbiamo ancora temerla questa ricostruzione? Oppure siamo riusciti a evitarla, e abbiamo contratto un nuovo tipo di mutazione più subdolo? Quanto potremmo distruggere e regredire noi stessi dopo aver distrutto l’ambiente? Una risposta la dà il film stesso, in parafrasi. Forse la prossima volta potremmo recuperare. Oppure no. 

Crash – La tecnologia fa regredire i rapporti umani a Venezia76 ultima modifica: 2019-09-06T13:00:37+02:00 da Emanuel Trotto

Nato a Biella nel 1989, si è laureato in Storia del Cinema presso il DAMS di Torino nel 2012, ha partecipato alla rassegna stampa per l’Università al 29, 30, 31mo Torino Film Festival e ha collaborato per il Festival CinemAmbiente 2014. Collabora per diversi blog di cinema e free culture (Il superstite) e associazioni artistiche (Metropolis). Ha diretto due cortometraggi: E Dio creò le mutande (2011), All’ombra delle foglie (2012).

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