Anima e Terre di Cannabis, emozioni e tradizioni a CinemAmbiente 22

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Anima e Terre di Cannabis, emozioni e tradizioni a CinemAmbiente 22 ultima modifica: 2019-06-23T08:00:50+02:00 da Emanuel Trotto
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La nostalgia è davvero canaglia. Specie se riguarda posti in cui sei cresciuto. Termine più desueto. Quando ci stai non vedi l’ora di andartene. Quando te ne sei andato brami, almeno ogni tanto, di tornare. Magari questo discorso non arriva subito per chi è nato e cresciuto in una grande città che, nel bene e nel male, le sue opportunità le ha. Ma per chi è vissuto in una piccola città, o comunque in provincia, questi pensieri passano per la testa.

Si abbandona il luogo natio perché di opportunità non ce ne sono o non ti interessa cercarle. E vai altrove, verso la grande città più vicina, per poter ricominciare. Magari con la scusa dell’università. Avere la possibilità di ricominciare da zero, di rifarsi una vita. Non temere più il fatidico bianco di un ennesimo capitolo che altrimenti rischia di essere uguale a se stesso, all’infinito. È successo al sottoscritto, biellese di nascita, ma torinese d’adozione e di cuore.

"Anima" di Joseph Péaquin
“Anima” di Joseph Péaquin

Ma anche nel fuggitivo più recidivo, basta un nonnulla perché la nostalgia, come uno spiffero di una porta lasciata socchiusa, si ripresenti. Un brivido freddo ma che è più che sufficiente. Sia che tu sia nato al mare come in montagna. A molti questo spiffero passa. Basta un weekend o una settimana in famiglia dai vecchi amici di una adolescenza. Constatare quanto quei posti sono cambiati in tua assenza. E tornare nella propria comfort zone riappacificati, sicuri che quei posti resteranno uguali (nonostante tutto), quando ritornerai, di nuovo. Altri, invece, sentono freddo più a lungo. Desiderano di nuovo quel calore, sicuri certamente che nulla è cambiato, ma loro stessi sì. E che perciò possono plasmare i luoghi consueti con occhi nuovi.

Io, personalmente appartengo alla prima categoria. Ma quello spiffero lungo la schiena l’ho percepito. Nello specifico quando ho visto i due mediometraggi Anima di Joseph Péaquin e Terre di cannabis di Gianluca Marcon. Entrambi in concorso nella sezione Documentari Italiani in una proiezione doppia al 22° Festival CinemAmbiente.

Due storie, apparentemente agli albori, anche geograficamente. Il primo racconta la vita, sempre uguale a se stessa, di una coppia di ottantenni, Grazia e Bruno, ai piedi del Piccolo San Bernardo in Valle d’Aosta. Una vita a condividere l’amore per la natura, in piena simbiosi con l’ambiente. Il secondo è la storia di Jacopo Paoloni. Un giovane abruzzese che dopo aver viaggiato per il mondo, decide di tornare al paese, Acciano, per realizzare un sogno. Rilanciare la coltivazione della canapa, a lungo coltivata e usata in quelle terre a fini terapeutici, ma tenuta lontana dal pregiudizio non solo comune ma anche legislativo. Due storie antitetiche, in teoria, ma nella pratica, vicinissime.

"Terre dI Cannabis" di Gianluca Marcon
“Terre dI Cannabis” di Gianluca Marcon

Che cosa hanno in comune questi due veloci e significativi racconti? Per prima cosa la caparbietà. La caparbietà di Grazia e Bruno che, in barba alla contemporaneità, continuano la loro vita serena. Continuano a mantenere intatte antiche consuetudini e una cultura molto più vicina alla Natura. A seguire il ritmo delle stagioni, a fare lunghe camminate nei boschi d’estate. Camminare nei campi a pochi passi da casa a raccogliere erbe di ogni tipo, dove un occhio non allenato vedrebbe solamente erbacce. Loro vedono millefoglie, achillea, camomilla, fiore iperico, barba di becco, cicorie. Da far seccare e distillare tutto l’inverno. O le pigne da affettare e mettere sotto zucchero. Per ottenere sciroppi per la tosse. O per fare una zuppa da condividere con figli e nipoti, la “minestra dei prati”.

La minestra dei prati è un altro punto in comune con l’Abruzzo di Jacopo. Anche lui è caparbio e cocciuto. A portare avanti il suo sogno, di vedere la sua terra verde di canapa. Una regione, che è stata martoriata dai recenti terremoti. Cataclismi che hanno impresso crepe anche nelle persone. E Jacopo con la sua azienda, la sta riportando alla vita.

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“Anima” di Joseph Péaquin

«Io e Jacopo siamo amici» ha iniziato a raccontare Marcon all’incontro con il pubblico dopo le proiezioni. «Giocavamo a pallone nella stessa squadra quindici anni fa, poi ci siamo un po’ persi di vista. Alla fine del 2017 ci siamo incontrati di nuovo, per caso, e mi ha raccontato quello che stava facendo e sono rimasto di stucco: proprio dalla sua grinta dalla sua testardaggine, dalla sua grande forza di volontà.» (…) «Per me è stato amore a prima vista, arrivare e vedere questi campi di canapa. La coltivazione della canapa è arrivata in un momento topico perché è riuscito veramente a scardinare un po’ di meccanismi  e grazie alla caparbietà di Jacopo, essa è riuscita ad essere veramente una possibilità. A creare un indotto, posti di lavoro, veramente una possibilità per tante persone che, fino al giorno prima, non sapevano come campare

Non è solo questo è anche il desiderio di recuperare qualcosa che rischia di andare perso per sempre. Una cultura agricola millenaria. In quanto la canapa era coltivata fin dalla più remota antichità e per gli usi più disparati. Dalla medicina, all’abbigliamento. Una cultura che il pregiudizio rischia di cancellare. Cancellare una produzione italiana che, nel suo momento più glorioso, era la seconda al mondo.

Tuttavia la canapa e aziende come quella di Jacopo stanno ritornando. Grazie all’adeguamento alle norme europee, ai contributi volti allo sviluppo di nuove e innovative tecniche. Oltre al sempre maggiore interesse verso l’ambiente e le scelte green da parte dei giovani. I semi che portano speranza nel futuro. Anche letteralmente. Uno dei protagonisti di Terre di cannabis, Luca, è il padre della prima bambina di Acciano dopo cinque anni in cui non ne nasceva più nessuno.

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“Terre dI Cannabis” di Gianluca Marcon

«Quando finisce tutto solo questo rimane, il silenzio». Recita, ad un certo punto, Jacopo come voce narrante. Ecco il terzo punto che accomuna queste due proiezioni, il silenzio. Lontano dalla ressa e dalla confusione della città. Per quanto la si ami una città, il desiderio del silenzio ora come non mai diventa sempre più impellente.

A questo proposito Joseph Péaquin, anch’egli presente dopo le proiezioni con Marcon e Paoloni, è stato significativo. «È una fotografia, un modo di guardare la Natura. Perché hanno una relazione con essa e con il terriotorio che noi in città, ma anche tanti giovani in Valle d’Aosta non hanno più. C’è un distaccamento totale con la Natura. Quindi mi sembrava molto interessante riprendere questa relazione con essa. Anche molto tranquilla, fatta di tempi morti di silenzi. C’è qualcosa che emerge e quel qualcosa mi ha colpito. Stavo ore lì e non mi annoiavo mai, anche se non succedeva niente. È come dire: ‘Guardate che forse stiamo esagerando nel sovraconsumo e nella sovratecnologia, stacchiamo un attimo. Ci sono tanti aspetti positivi nel progresso, ma non vediamo più tante cose bellissime.’»

Ed forse anche per questo che questi due lavori mi hanno colpito.  Oltre al fatto di vedere, in Terre di Cannabis, dei giovani che tornano al Paese e sono loro a dare una possibilità per ricominciare e non il contrario. Operazione che ha quasi dell’incredibile. E che fa ben sperare.

Anima e Terre di Cannabis, emozioni e tradizioni a CinemAmbiente 22 ultima modifica: 2019-06-23T08:00:50+02:00 da Emanuel Trotto

Nato a Biella nel 1989, si è laureato in Storia del Cinema presso il DAMS di Torino nel 2012, ha partecipato alla rassegna stampa per l’Università al 29, 30, 31mo Torino Film Festival e ha collaborato per il Festival CinemAmbiente 2014. Collabora per diversi blog di cinema e free culture (Il superstite) e associazioni artistiche (Metropolis). Ha diretto due cortometraggi: E Dio creò le mutande (2011), All’ombra delle foglie (2012).

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