Il fatto
Una giovane coppia, Dora e Cino rientrano a casa dopo un viaggio. Fermandosi ad un Autogrill sentono alla televisione l’annuncio di un possibile disastro nucleare. La possibilità diviene realtà quando, proseguendo, incontrano solo cadaveri. Decidono così di fermarsi ad un casolare in riva al mare. Da qui ricevono, prima dai media rimasti e poi da altri sopravvissuti, una missione. Quello di testimoniare il passato e procreare per ricostruire la società…
Il commento
La 69 edizione del Festival Internazionale del Cinema di Berlino ha visto la vittoria dell’Orso d’Argento per la miglior sceneggiatura all’unico film italiano in concorso. La paranza dei bambini di Claudio Giovannesi, tratto liberamente dall’omonimo romanzo criminale di Roberto Saviano. Questo premio ad un giovane autore italiano (è il suo terzo lungometraggio) ci rincuora. Perché ricorda, ancora una volta, quanto il Nostro cinema sia tornando. Una crescita quantitativa e qualitativa di un nuovo e giovane cinema autoriale. Un cinema che non dimentica e onora i grandi Maestri. I giovani fanno in modo che la lezione dei grandi non vada sprecata.
In particolare, non tradiscono quell’idea che per fare il cinema bisogna buttarsi in strada, nel mondo. Perché prima di ogni altra cosa bisogna capire la vita, e immergersi profondamente. Si tratta di una operazione di certo non scontata. Solo dopo essere stati tanto immersi si può iniziare a girare. Questa lezione parafrasa di molto quanto detto da uno di questi vecchi Maestri, Marco Ferreri (1928 – 1997). Questi, ventotto anni fa, vinceva l’Orso d’Oro (il premio principale della Berlinale) grazie ad uno dei suoi lavori più maturi ed interessanti: La casa del sorriso. Una storia d’amore fra le (apparentemente) accoglienti quattro mura di una casa di riposo fra due settantenni anticonformisti. Alla ricerca di una via di fuga, esotica o meno, purché più lontana possibile dalla civiltà giovane, bigotta e arrogante.
Rapporti di coppia, la fuga per l’altrove e tanto tantissimo vuoto. Questi elementi hanno da sempre caratterizzato l’opera del regista milanese da esportazione in Spagna e in Francia. In viaggio per portare avanti le sue idee e il suo cinema, spesso e volentieri osteggiato. I suoi protagonisti sono delle anime tormentate in una società consumista. Essa vede il rapporto di coppia non come qualcosa stimolato e mosso dall’amore o dall’affetto, ma come unico mezzo per portare avanti il consumismo. Il sesso è qualcosa visto in maniera molto problematica. Che siano maschi o femmine, i suoi protagonisti sfuggono a esso o al suo significato per la società. È qualcosa di puramente meccanico. Un modo come un altro per svuotare e creare il vuoto pneumatico in cui sopravviviamo costantemente.
Chissà cosa avrebbe detto dei giorni moderni dominati da smartphone e social network. Soprattutto pensando a una delle sue ultime dichiarazioni. «Quando la televisione diventa importante, allora è la morte dell’uomo collettivo. L’uomo è sempre stato collettivo, dall’epoca della tribù. La televisione, e tutti i nuovi mezzi di comunicazione, significa la fine di tutto questo». Non è un caso che qualcuno lo abbia definito un regista che veniva dal futuro. Togli televisione e metti social e non cambia molto. Così vicini eppure così lontani.
Dichiarazione drammaticamente profetica un autore che aveva preso alcune maschere delle commedia all’italiana, Marcello Mastroianni e Ugo Tognazzi e li aveva svuotati. Trasformandoli nelle due facce dell’uomo medio di fronte alla società del boom economico degli anni ’60: l’intellettuale e l’uomo del popolo. Egualmente esseri umani, egualmente soli e vuoti. Svuotati come fuchi o scoppiati come dei palloncini.
Proprio al tramonto del Sessantotto parigino – per lui una «protesta borghese» – aveva predetto nel 1969 una delle Apocalissi più nichiliste immaginabili. Quello è l’anno di due film gemelli come i Dioscuri, così vicini e così lontani. Da una parte Dillinger è morto, dall’altra Il seme dell’uomo.
Se Dillinger racconta di una fuga possibile, Il seme dell’uomo è la rappresentazione della più cupa disperazione immaginabile. Due giovani, Cino e Dora tornano da un lungo viaggio. Dai notiziari in un Autogrill gremito di persone arrivano notizie allarmanti di un possibile attacco nucleare. Il tempo di attraversare un tunnel e il disastro è avvenuto. Cadaveri vengono bruciati o abbandonati ai bordi della strada, posti di blocco militare, vaccini d’emergenza quanto inutili. Si stabiliscono in una casa in riva al mare. Le ultime notizie televisive mostrano il Vaticano devastato e il Papa farneticante in barella. Il disastro causato dall’uomo ha creato un mondo senza uomini e senza Dio.
Due giovani che fino a poco prima si trastullavano con i pupazzi di Topo Gigio, ora sono fra i pochi che possono raccontare ciò che è stato. Cino decide così di creare un museo con tutto quello che trova. Così il televisore, il frigorifero, una Olivetti, la forma di Parmigiano divengono pezzi da museo. Su una mensola con una targhetta. I quadri di Giorgione portati da alcuni sopravvissuti sembrano solo volgari poster a confronto.
Né più né meno come l’arte povera di quegli anni stava facendo. Rendendo l’arte qualcosa di comune quasi, e non più semplicemente elitario. L’arte non viene più creata da menti superiori, ma basta dare un significato superiore a qualcosa e tutti possono essere artisti e curatori di un museo. E una Polaroid diviene preziosa come una Venere di Milo. Tutto serve a raccontare a testimoniare.
Che cosa testimonia, qual è l’”esperienza degli antichi” che vogliono portare avanti questi sopravvissuti? Solo una vuota serie di slogan pubblicitari. Ora solo degli epitaffi di qualcosa che il mondo non necessita più. E che, secondo Ferreri, non varrebbe neppure la pena di ricordare. Meglio riscoprire il valore delle erbe medicinali e bagnarsi nel mare. Per lui è una madre, un gigantesco ventre pieno di liquido amniotico salato. Un ventre che rappresenta, biologicamente, gli albori della nostra evoluzione. Forse lì, ci prova a spiegare Ferreri, si può ricominciare a vivere. Senza inibizioni e senza sottostare a qualcosa di più alto, che sia religioso o economico. Oppure no?
Scheda film
- Regia: Marco Ferreri;
- Soggetto: Marco Ferreri;
- Sceneggiatura: Marco Ferreri, Sergio Bazzini;
- Interpreti: Anne Wiazemsky (Dora), Marco Margine (Cino), Annie Girardot (una donna), Rada Rassimov (donna al seguito del funzionario), Ettore Rosboch (funzionario di stato), Adriano Aprà, Vittorio Armentano (due medici), Sergio Giussani (militare), Mario Vulpiani (speaker televisivo), Marco Ferreri (padrone del casolare);
- Origine: Italia, Francia, 1969;
- Durata: 83’
- Temi : CINEMA, NATURA