Mettete insieme più di un decennio di ricerca su sostenibilità e green marketing, una palpabile passione per tutto quello che riguarda l’innovazione intesa come motore di uno sviluppo più rispettoso e sostenibile, e aggiungeteci una interessantissima raccolta di best practice. Avrete Benfatto. Innovare e crescere con la sostenibilità, l’ultimo saggio di Alessio Alberini uscito a marzo per Primiceri Editore (110 pagine, 15€).
Abbiamo fatto una bella chiacchierata con l’autore, che ci ha raccontato perché è il momento di ripensare il modo in cui intendiamo lo sviluppo sostenibile, non più soltanto come impatto zero, ma come rigenerazione, ovvero come ripristino e miglioramento delle condizioni in cui interagiamo con l’ambiente.
Negli ultimi anni, sostenibilità è diventato un termine sempre più utilizzato – e spesso abusato. Nel tuo saggio, tu preferisci infatti parlare di rigenerazione. Che differenza c’è fra sostenibilità e rigenerazione, e perché oggi quello di rigenerazione è un concetto così importante?
Sostenibilità è un termine ormai abusato, il cui uso è stato ampliato a dismisura, svuotandolo in parte di senso e di significato. Ancora utile per comprendere e capirsi ma è ormai tempo di andare oltre. A che serve infatti essere sostenibili rapportandosi ad una situazione ambientale e sociale ormai moribonda?
Serve una nuova linea di pensiero e di azione che punta alla rigenerazione. Ciò di cui abbiamo bisogno è uno sviluppo non solo sostenibile ma rigenerativo, che richiede regole capaci di garantire il ripristino e il miglioramento delle condizioni in cui l’ambiente con le persone (e le persone con le persone) interagiscono per ottenere le risorse necessarie al reciproco sostentamento.
È un altro modo di definire l’economia circolare di cui veri leader saranno le menti creative, designer nel senso più ampio del termine, che sapranno trovare nuovi linguaggi e nuove forme di narrazione per parlarne. Rendendola sexy, curandone la forma e la capacità di generare emozione. Parlandone solo in termini algebrici, con i numeri, gli indici e le percentuali sarà impossibile, resterà sempre un’equazione con tante variabili e nessuna soluzione.
Perché la rigenerazione è il driver fondamentale dell’innovazione?
Crescere attraverso uno sviluppo sostenibile è ciò che le aziende devono ottenere, intervenendo nei processi produttivi e nei prodotti per ridurne drasticamente l’impatto ambientale, elevandone gli standard qualitativi, combinando business e tecnologia. Rigenerazione sociale e ambientale, per creare prodotti nuovi, più funzionali e più sostenibili.
Prodotti ispirati ai principi dell’economia circolare che pone l’enfasi sul rapporto tra i flussi e le connessioni, piuttosto che sui singoli componenti: selezione delle materie prime, riduzione degli sprechi, riduzione delle emissioni di CO2, riduzione delle sostanze tossiche utilizzate nei processi produttivi e risparmio delle risorse idriche.
E i risultati sono ottenibili solo attraverso una strategia di re-design di sistema, che porta a una radicale revisione dei prodotti, dei processi produttivi e del modello di business.
Nel momento in cui riconosciamo che la rigenerazione è agire con scarsità di risorse ne riconosciamo il ruolo di driver d’innovazione, percorso suggerito per nuovi paradigmi di design thinking, capace di proporre soluzioni diverse e più sostenibili. Più educate ed educative, capaci di trasformare i modi di pensare e vedere le cose del mondo che ci circonda.
Perché non possiamo risolvere i problemi usando lo stesso modo di pensare che li ha generati.
Think out of the box non è più sufficiente. È venuto il momento di ripensare la scatola, cioè il sistema di regole – ambientali, sociali ed economiche – in cui vivranno le generazioni future.
Nel tuo saggio racconti le belle storie di alcune piccole e medie aziende italiane che sono riuscite a creare valore a partire dalla rigenerazione, esempi concreti del Benfatto che dà il titolo al tuo lavoro. Qual è la lezione che ti sei portato a casa, confrontandoti con queste realtà?
La vera lezione è che in Italia abbiamo un enorme bagaglio di competenze, creatività e inventiva che non riesce a emergere con tutta la forza di cui il Paese avrebbe bisogno. Probabilmente buona parte della responsabilità è del “sistema Italia” che tende a schiacciare più che a sollevare, ma gli imprenditori stessi hanno una parte di responsabilità – forse a loro insaputa.
Dagli esempi raccontati nel saggio si possono facilmente individuare due modelli di azione che pur muovendosi da direzioni opposte raggiungono lo stesso risultato: un prodotto più sano, più buono e più sostenibile. Più bello. Benfatto.
Due modelli che possono fare riferimento a due concetti che pur in contraddizione sono parte dell’animo umano: redenzione e inconsapevolezza.
Al primo gruppo appartengono quelle aziende che, presa consapevolezza degli errori del passato e dei rischi del futuro, hanno rivoluzionato il loro modo di fare business, grazie ad innovazioni piccole o grandi che siano. Riposizionandosi al vertice del modello economico rigenerativo. Generando stupore in chi ha la fortuna di incontrarle quando si presentano, svelandosi senza pudore e con orgoglio, ma mai abbastanza.
Nel secondo gruppo abbiamo quelle aziende che da generazioni e per cultura hanno sempre fatto del buonsenso e del rispetto il loro faro. Producendo sempre – nei limiti della conoscenza e della tecnologia del loro tempo – cose belle e ben fatte. Non per ricerca ma per vocazione. Forse senza una visione, ma sempre con una missione chiara. Rivelandosi, in questo caso, con pudore e con modestia che è sempre troppa.
Attraverso il racconto di tanti progetti di successo dove è centrale il concetto di rigenerazione, Benfatto delinea la strada possibile verso una nuova economia. Che non produce scarti né rifiuti, ma che restituisce all’ambiente naturale più di quanto si prende da esso.
Un saggio che si fa leggere tutto d’un fiato, come ogni bella storia che si rispetti. Buona lettura!