Sacchetti biodegradabili

Sacchetti biodegradabili a pagamento: le ragioni dei pro e dei contro

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Sacchetti biodegradabili a pagamento: le ragioni dei pro e dei contro ultima modifica: 2018-01-05T13:29:08+01:00 da Marilisa Romagno
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La norma 123/2017 impone ai supermercati a partire già dal 1° gennio 2018 l’uso di sacchetti di plastica biodegradabile per raccogliere, pesare e prezzare i prodotti venduti sfusi come frutta e verdura e affettati. Tali sacchetti, secondo la legge oltre ad essere biodegradabili, devono essere monouso e a pagamento (il costo oscilla fra i 2 e 3 centesimi di euro).

I supermercati che non fanno uso di questi sacchetti verranno sanzionati.

L’obiettivo della legge è quello di ridurre la quantità di rifiuti di plastica abbandonati, responsabili dell’aumento sempre più preoccupante dell’inquinamento ambientale sopratutto dei mari e degli oceani.

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A favore dei sacchetti biodegradabili a pagamento

Legambiente espone subito la sua tesi a favore della legge sui sacchetti ecologici: “Fondamentale continuare la strada iniziata nel 2011 dall’Italia nella lotta all’inquinamento da plastica e per contrastare il marine litter. L’innovazione ha un prezzo ed è giusto che si paghi, purchè il costo sia equo”. Legambiente, grazie alla campagna di sensibilizzazione #UnSaccoGiusto, si è già battuta negli anni scorsi per estromettere le ecomafie dal traffico illegale di sacchetti compostabili e vuole continuare per questa strada.

Anche Assobioplastiche si associa a quanto sostenuto da Legambiente e ha svolto una prima ricognizione di mercato relativamente al prezzo dei sacchetti biodegradabili e compostabili. L’Osservatorio stima che il consumo di sacchi ortofrutta e sacchi per secondo imballo carne/pesce/gastronomia/panetteria si aggiri complessivamente tra i 9 e i 10 miliardi di unità, per un consumo medio di ogni cittadino di 150 sacchi/anno. Ipotizzando che il consumo rimanga su queste cifre, al momento, la spesa massima annuale sarebbe attestata a € 4,5/anno per consumatore.

Marco Versari, presidente di Assobioplastiche spiega: “Queste prime indicazioni di prezzo ci confortano molto perché testimoniano l’assenza di speculazioni o manovre ai danni del consumatore.  Non solo. I sacchetti  sono utilizzabili per la raccolta della frazione organica dei rifiuti e quindi almeno la metà del costo sostenuto può essere detratto dalla spesa complessiva.”

Le protesta dei consumatori

Ma è tutto così chiaro e trasparente? Per molti consumatori non lo è. E la loro protesta è esplosa in questi giorni sui social network. La norma, infatti, obbliga la grande distribuzione a riversare sul cliente la spesa dei sacchetti, clienti che non sono contenti di pagare questa “sovrattassa” imposta in modo obbligatorio.

Il prezzo dei bio-sacchetti  inoltre sembra non sia regolamentato dalla legge e questo potrebbe facilmente lasciare spazio a possibili speculazioni.

Si parla di ridurre il consumo di sacchetti di plastica sostituendoli con quelli  biodegradabili,  composti per più di metà ancora di plastica e che si degradano solo in determinate condizioni ambientali.

La norma sembra ancora contraddittoria nel punto in cui vieta di riutilizzare i sacchetti. Per motivi igienici e di taratura delle bilance infatti non è possibile utilizzare sacchetti o contenitori di tipo diverso da quelli messi a disposizione nei supermercati. A questo proposito il Ministero dell’Ambiente in accordo con il Ministero della Salute sta riesaminando questa questione. Sta valutando se lasciare spazio all’utilizzo di sacchetti alternativi purché rispettosi di requisiti igienici ben precisi.

Con l’obbligo del monouso viene promosso l’uso di prodotti usa-e-getta andando così ad incrementare la produzione di rifiuti. In altri casi molti consumatori abbandoneranno il prodotto sfuso e si rivolgeranno ai prodotti già confezionati, con frutta e verdure già imbustati. In altre parole, più imballaggi in circolazione. Un altro aspetto da considerare è che il consumatore non potendo utilizzare la sua sportina, disincentivato dal pagamento del sacchetto, potrebbe essere scoraggiato dall’acquisto del prodotto. Questo potrebbe creare un calo delle vendite per la grande distribuzione.

Questioni di comunicazione…

Come hanno affermato in molti, l’anno nuovo ha portato con sé numerosi aumenti. Sono aumentate le bollette della luce e del gas e le tariffe autostradali, senza che nessuno facesse una piega. L’indignazione generale si è rivolta unicamente ai sacchetti della frutta e della verdura, una spesa inferiore a quella che gli italiani dovranno sostenere con le bollette.

L’introduzione dei sacchetti biodegradabili è a tutti gli effetti una scelta che va a favore della sostenibilità, ma che poteva essere comunicata meglio ai cittadini e non strumentalizzata in piena campagna elettorale, con tutte le ripercussioni del caso. Ne è esempio la notizia circolata soprattutto su WhatsApp, a quanto pare priva di fonti veritiere, secondo cui il nuovo obbligo di pagare i sacchetti deriverebbe dal tentativo di favorire un’azienda “monopolista del settore”, con a capo una persona “amica di Renzi” o “vicina a Renzi“. La persona a cui si fa riferimento, non sempre citata direttamente nei messaggi condivisi, è Catia Bastioli, imprenditrice e amministratore delegato dell’azienda chimica Novamont.

A rispondere ai perché di tutto questo polverone mediatico è la stessa Catia Bastioli in un’intervista: «Certo che se si dice alla gente che dovrà pagare 50 euro l’anno… I sacchetti si pagavano anche prima, solo che non venivano evidenziati i costi pagati dai consumatori. Se adesso si dice che hanno un prezzo è per farne utilizzare meno alla gente. Si vuole diminuire la plastica e riutilizzarla per la differenziata. Ma non c’è stata la giusta informazione dal Governo».

Dal canto suo, l’Adiconsum (Associazione Difesa Consumatori e Ambiente) evidenzia come possa sorgere spontaneo chiedersi perché una norma di carattere totalmente differente come la 123/2017  sia stata proposta nel piano per lo sviluppo del Mezzogiorno. “A pensar male“, sottolinea l’Associazione, “si potrebbe dire che, attraverso questo escamotage, associazioni dei consumatori e venditori sono stati tagliati fuori dal processo decisionale; in questo modo i diretti interessati non hanno potuto trovare una soluzione in grado di salvare l’ambiente e accontentare i consumatori.”

Il caos sul fronte comunicativo, insomma, regna sovrano. Tuttavia, siamo fiduciosi e vogliamo sperare che i dubbi possano chiarirsi quanto prima, che la trasparenza trionfi e che soprattutto la nuova norma riesca a dare un reale contributo a favore del nostro beneamato ambiente.

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Pugliese doc e fortemente legata alla sua regione. Dopo la laurea in Scienze Naturali, ha frequentato corsi di formazione sui temi dell'Efficienza Energetica e delle Valutazioni Ambientali. Appassionata di scrittura, scrive ormai da anni di ambiente e sostenibilità per diversi magazine on line. Nella vita si occupa di consulenza e formazione aziendale. Per fortuna ha sposato un marito che come lei è super sensibile alle tematiche ambientali. A cosa non rinuncerebbe mai? A un bel piatto di pasta e a delle lunghe passeggiate in montagna lontano da casa.

1 Commento

  1. Il concetto e’ giusto ma strano. Perché? Viene sepolto il concetto del riutilizzo perché io sono sempre costretto a prenderlo sempre sul bancone perché per motivi igienici non posso riutilizzato. Allora questo è solo un’aumento di frutta e verdura. Ma li si frega xché io vado a fare la spesa anche con la busta a rete come faceva la mia nonna.

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