Naomi Klein, un grande balzo per superare il trumpismo

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Naomi Klein, un grande balzo per superare il trumpismo ultima modifica: 2017-12-13T08:00:01+01:00 da Davide Mazzocco
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In “Shock Politics” la ricetta della giornalista e scrittrice canadese per uscire dalla morsa della destra neoliberista e ripensare un futuro basato sulla cura e sulla solidarietà

Le tesi di No logo (2001) e Shock economy (2007), i due saggi con i quali Naomi Klein analizzava, con un’indagine precisa e puntuale, le aberrazioni del capitalismo neoliberista confluiscono in Shock politics – L’incubo Trump e il futuro della democrazia, il libro edito da Feltrinelli che nell’edizione italiana fa sparire dal titolo il principale assunto dell’autrice canadese: dire “no” non è abbastanza, No is not enough. È con i sì e con una proposta alternativa che si potrà mandare a casa Trump fra tre anni, con i sì che si potrà invertire la rotta e salvare la Terra prima che si giunga al punto di non ritorno. I semplici no e un’opposizione non costruttiva non potranno far altro che il gioco dell’attuale inquilino della Casa Bianca che nelle crisi e nello scontro trova il proprio habitat naturale.

Per capire come l’impensabile sia potuto accadere e quali cause abbiano permesso l’insediamento a Washington di un miliardario che ha fatto della propria ricchezza un brand da mettere tanto in cima ai grattacieli come sulle etichette delle acque minerali, Klein utilizza la materia prima dei suoi saggi più fortunati. Il “brand” Trump palesa tutte le aberranti caratteristiche dei marchi descritti in No logo, “dal fregarsene di qualsiasi responsabilità nei confronti dei lavoratori che realizzano i tuoi prodotti attraverso una rete di appalti spesso abusivi fino all’insaziabile necessità colonialista di marchiare ogni spazio disponibile con il tuo nome”. Il messaggio di Trump è semplice: sono ricco e posso fare quello che voglio.

Naomi Klein
Naomi Klein (Circolo dei Lettori – foto di Kourosh Keshiri)

Da palazzinaro a brand, da brand a inquilino della Casa Bianca. Se questa improbabile parabola è diventata possibile, molto lo si deve allo scacco globale delle forze progressiste incapaci di produrre un’alternativa al sistema vigente. Bernie Sanders aveva la possibilità di battere Trump, ma la scelta dei democratici è caduta su Hillary Clinton, percepita dalla pancia del Paese come donna dell’establishment. E così nello Studio Ovale si è seduto un miliardario che non ha perso tempo a piazzare nei posti di comando dei veri e propri campioni del capitalismo neoliberista come Rex Tillerson, ex ad della Exxon ora segretario di stato.

Così come in gioventù il giovane Trump sfruttò la crisi di New York per inanellare successi nel mercato immobiliare, le aspre contraddizioni dell’America obamiana hanno creato terreno fertile per la retorica razzista, misogina e suprematista del candidato repubblicano che, sin dalla campagna elettorale, ha portato avanti una posizione negazionista in merito ai cambiamenti climatici e una proposta di politica energetica apertamente favorevole alle fonti fossili.

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La crisi ambientale si aggrava scatenando un effetto domino a livello sociale ed economico? Per chi, come Trump, ha forgiato la carriera sullo shock non si tratta di un problema ma di un’opportunità. Subito dopo l’11 settembre 2001, intervistato da una radio, Trump affermò con orgoglio che, sparite le Twin Towers, ora era lui il proprietario del più alto edificio della Midtown di Manhattan…

Pochi giorni dopo l’insediamento a Washington, Trump ha fatto approvare l’oleodotto Dakota Access, andando contro l’opposizione dei Sioux di Standing Rock, ha aperto la strada per far approvare l’oleodotto Keystone XL proveniente dall’Alberta e ha emanato un ordine esecutivo per revocare la moratoria di Obama sulle concessioni per estrarre nuovo carbone dal territorio federale. Naturalmente anche l’accordo sul clima di Parigi è diventato carta straccia e non potrebbe essere altrimenti visto il radicale negazionismo di Trump.

Neanche gli incendi che per tutto il 2017 si sono succeduti nelle foreste della California e le centinaia di vittime degli uragani Irma, Harvey e Maria possono far cambiare idea a Trump e al sistema che ne sostiene il modello. Come spiega Klein i miliardari si stanno attrezzando per non farsi trovare impreparati alla prossima catastrofe.

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La Help Jet, per esempio, in caso di uragano in arrivo manda una limousine a prelevare i propri associati e li trasferisce in un golf club o in una spa. Il pacchetto include, ovviamente, anche eventuali trasferimenti aerei. E mentre le fasce meno abbienti della popolazione fanno i conti con le drammatiche conseguenze degli uragani, i miliardari vivono “un’esperienza di prima classe che trasforma un problema in una vacanza”, come spiega il dépliant della compagnia.

Per sopravvivere alla catastrofe i survivalisti miliardari stanno fabbricando dei bunker nei deserti del Kansas o delle case-rifugio sulle Alpi neozelandesi. In California e Colorado le compagnie assicurative inviano squadre di vigili del fuoco a spegnere gli incendi che si avvicinano troppo alle ville e alle tenute dei loro assistiti. Il tutto mentre la sfera pubblica viene lasciata sola al suo destino.

Donald Trump
Donald Trump

Di fronte a un potere così sfrontato non si può che dire no, ma Klein sottolinea il pericolo di un’opposizione non costruttiva. E la pars costruens di Shock politics parte dall’esempio di Standing Rock per riaffermare la necessità di un orizzonte utopico e di una trincea fatta di solidarietà e dibattito, unione e cultura. La lotta dei Sioux contro il passaggio del Dakota Access sotto il lago Oahe, seppur vanificata dall’attuale presidente, resta comunque un modello di resistenza al quale tendere.

È sempre più necessaria “una transizione da un sistema basato sull’infinito prendere, dalla terra e dagli altri, a una cultura basata sulla cura, sull’attenzione, sul principio che quando prendiamo dobbiamo anche curare e restituire”.

Sull’idea di questo cambio di paradigma è nato il Leap Manifesto, elaborato nella primavera 2015 al termine di una riunione fra i rappresentati dei diritti dei nativi e della giustizia sociale e alimentare, gli ambientalisti, i movimenti religiosi e operai del Canada.

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La politica dei piccoli passi è inadeguata nel countdown verso l’imminente punto di non ritorno ecologico e sociale ed è quindi necessario un coraggioso balzo in avanti. La crisi climatica non è un problema tecnico da risolvere con i tecnici: è un’urgenza sistemica che mette in gioco il modello socio-economico vigente basato sull’estrattivismo e sul consumo.

Il Leap Manifesto – di cui Naomi Klein è stata una delle principali promotrici – ambisce a sostituire la logica proprietaria con quella della cura, a diffondere un programma universale per la costruzione di case a risparmio energetico e per il progressivo smantellamento delle centrali energetiche alimentate da fonti fossili. L’agricoltura biologica e l’eliminazione di tutti gli accordi commerciali che possono interferire con la ricostruzione delle economie locali devono diventare l’asse di un ritorno a un’alimentazione più sana e sostenibile.

La politica è chiamata a fare la sua parte e a invertire la rotta: se in questo decennio di crisi economica sono state aggredite istruzione e sanità, ora è il momento di chiudere i rubinetti alle sovvenzioni per i combustibili fossili, di iniziare a tassare le transazioni finanziarie, di aumentare le royalty sulle risorse e le tasse sui redditi delle grandi aziende e dei ricchi. Una lunga lista di proposte, una resistenza fatta di “sì” che è stata pensata per il Canada, ma che vale ovviamente per tutto il pianeta.

[Foto Pixabay | Circolo dei Lettori-Kourosh Keshiri]

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Giornalista e saggista, ha scritto di ecologia, ambiente e mobilità sostenibile per numerose testate fra cui Gazzetta, La Stampa Tuttogreen, Ecoblog, La Nuova Ecologia, Terra, Narcomafie, Slow News, Slow Food, Ciclismo, Alp ed ExtraTorino. Ha pubblicato numerosi saggi fra cui “Giornalismo online”, “Propaganda Pop”, "Cronofagia" e "Geomanzia".

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