Gibe III, la grande diga minaccia 400mila indigeni nella Valle dell’Omo

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Gibe III, la grande diga minaccia 400mila indigeni nella Valle dell’Omo ultima modifica: 2017-11-28T08:00:31+01:00 da Alessia Telesca
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Paesaggi eccezionali, luoghi incantati, la Regione della Valle dell’Omo è lo scenario della costruzione di Gibe III, la diga dall’imponente effetto sull’ambiente e sui popoli indigeni.

La diga Gibe III

Luogo ricco di biodiversità, la valle dell’Omo presenta due siti Patrimonio dell’Umanità dell’UNESCO e 5 parchi nazionali, un ambiente straordinario e fiabesco, abitato da popolazioni indigene come i Kwegu, i Mursi, i Kara, i Bodi, i Kara, i Nyangatom e i Dassanach in Etiopia, e i Turkana, i Samburu, gli Elmolo, i Gabbra e i Rendille in Kenia.

Valle dell'Omo, scenario di Gibe III (fonte: survival.it)
Valle dell’Omo, scenario di Gibe III (fonte: survival.it)

La costruzione di Gibe III è stata assegnata a Salini Impregilo, società italiana, nel 2006 per irrigare le monocolture di canna da zucchero e per produrre energia elettrica, un progetto da 1,5 miliardi di euro, costruito con il Roller Compacted Concrete, alto 250 metri, lungo 630 metri, con una capacità di 1870 MW e inaugurato il 17 dicembre 2016.
Dopo la costruzione di Gibe III, l’azienda produttrice sta realizzando la fase successiva di sviluppo idroelettrico, ovvero la realizzazione di Koysha, la quarta diga Gibe.

Il progetto ha attirato le numerose critiche delle organizzazioni a difesa dei popoli indigeni, perché, come affermano le stesse, «da quando sono cominciate le fasi di riempimento del bacino della diga, nel 2015, sono state fermate le esondazioni naturali del fiume Omo, da cui dipendono la biodiversità del territorio e la sicurezza alimentare di almeno 100.000 indigeni in Etiopia e di circa 300.000 indigeni attorno al lago Turkana in Kenia». Sono numerosi, infatti, i popoli colpiti dalla nuova situazione, molti hanno addirittura perso l’accesso ai loro territori naturali, ambienti fondamentali per le loro culture.

La denuncia di Ong e stampa

Dopo le molteplici critiche internazionali, arrivate anche dalla stampa e dai media, Salini Impregilo e il governo dell’Etiopia avevano stabilito di risolvere il problema con delle esondazioni artificiali del fiume Omo.
La questione è stata riaperta e portata sul grande schermo dall’inchiesta del programma di RaiTre Indovina chi viene dopo cena, mostrando come le esondazioni artificiali non siano sufficienti per alimentare gli indigeni, ridotti alla fame. Le voci raccolte dalla giornalista Chiara Avesani parlano di coltivazioni fortemente ridotte, poiché è impossibile coltivare sul limo delle esondazioni.

Le popolazioni indigene (fonte: survival.it)
Le popolazioni indigene (fonte: survival.it)

Survival International, il movimento mondiale per i diritti dei popoli indigeni, accusa poi Salini Impregilo «di aver violato le Linee Guida Ocse per aver privato le comunità delle loro ricchezze e risorse naturali senza averle prima consultate e senza avere il loro consenso previo, libero e informato» e afferma come le esondazioni artificiali possano non avere una effettiva efficacia.

La trasmissione Indovina chi viene dopo cena è stata commentata da Francesca Casella, direttrice per l’Italia di Survival International, affermando come «impoverimento, morte e “zoo umani” sono un prezzo troppo alto da pagare al presunto progresso e sono inaccettabili. Non ci potrà essere vero sviluppo senza giustizia sociale e ambientale. È ora che governi e aziende si impegnino a rispettare realmente le linee guida dell’Ocse, il cui scopo dovrebbe essere quello di stimolare comportamenti imprenditoriali responsabili. Le violenze e le sofferenze ai popoli indigeni sono una delle crisi umanitarie più urgenti e raccapriccianti del nostro tempo».

Richard Leakey, presidente del comitato del Kenya Wildlife Service e fondatore del Turkana Basin Institute, ha definito gli effetti della diga «uno dei peggiori disastri ambientali che si possano immaginare».

Parole forti, fondamentali per riflettere sugli effetti degli uomini sugli uomini.

Gibe III, la grande diga minaccia 400mila indigeni nella Valle dell’Omo ultima modifica: 2017-11-28T08:00:31+01:00 da Alessia Telesca
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Classe 1987, torinese. È educatrice e web editor per diverse testate online. Vegetariana, è appassionata di animali, tematiche ambientali e educative. Spazia dai film thriller alle commedie e segue con attenzione il calcio. Dalle molteplici idee, prova ad unire le passioni con la scrittura creativa.

1 Commento

  1. Articolo molto approssimativo, scritto solo sulla base di altri articoli presenti sul web (di parte) e senza alcun approfondimento sulle fonti e sui fatti trattati. E soprattutto senza raccogliere le posizioni delle altre parti citate nel testo.
    Chi volesse approfondire “seriamente” la vicenda, può consultare gli esiti della procedura di cui si è occupato il PCN italiano dell’OCSE, o leggere le dichiarazioni del Direttore di Friends of Lake Turkana, ONG kenyana, il quale mette in dubbio che gli effetti negativi di cui si parla in questo articolo siano causati da Gibe III (https://www.newvision.co.ug/new_vision/news/1465391/kenya-tribe-struggles-survive-lake-turkana-water-recedes).

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