Portogallo, le cause dell’incendio di Pedrógão Grande

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Portogallo, le cause dell’incendio di Pedrógão Grande ultima modifica: 2017-07-28T08:00:32+02:00 da Davide Mazzocco
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La monocoltura, il collasso del sistema di comunicazione della Protezione Civile, una risposta inadeguata e tardiva negli interventi sono le principali cause della tragedia in cui hanno perso la vita 64 persone

Sono le 14.43 di sabato 17 giugno 2017, quando a Escalos Fundeiros, piccola frazione del comune di Pedrógão Grande, il bosco inizia ad ardere. Da alcuni giorni il termometro supera i 40° C. Il clima è secco. In questa regione del Portogallo Centrale la vegetazione è molto fitta, prevalentemente eucalipti e pini. Da decenni il Portogallo è abituato a convivere con incendi più o meno estesi, ma quello che sta per accadere è qualcosa di totalmente inedito: una catastrofe sociale, economica e ambientale mai vista prima in Portogallo.

Da Escalos Fundeiros, le fiamme, spinte dal vento, si espandono – con una velocità stimata fra il chilometro e mezzo e i cinque chilometri all’ora – verso i boschi di Figueiró dos Vinhos e Castanheira de Pera. Nel giro di un paio d’ore sul cielo del Pinhal Interior Norte – fino a quel momento privo della benché minima nuvola – piomba un’anomala notte fatta di fumo e di cenere. I boschi sono fittissimi e molti degli abitanti dei villaggi compresi nel triangolo dei tre comuni coinvolti si mettono in auto per fuggire alle fiamme. Molte persone perdono la vita nella fuga dal fronte dell’incendio, altre muoiono intossicate dal fumo, altre nel rogo della propria abitazione.

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Altre persone si salvano chiudendosi in casa con una scorta d’acqua e dopo avere chiuso ermeticamente tutte le porte e le finestre, dodici abitanti di un’aldeia circondata dalle fiamme sopravvivono immergendosi in un lavatoio. La strada nazionale N236-1 che unisce Figueiró dos Vinhos a Pedrógão Grande viene presa d’assalto dalle persone che stanno fuggendo dalle aldeias di Várzeas, Nodeirinho, Pobrais, Vila Facaia, Balsa, Sarzeda do Vasco, Sarzeda de Sao Pedro. Quando le automobili arrivano sulla N236-1 la strada nazionale è ormai un tunnel di fiamme e fumo. Qualche automobilista riesce a mettersi in salvo, altri muoiono dopo avere abbandonato la loro auto, altri ancora verranno ritrovati carbonizzati dentro gli abitacoli.

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Nella notte di sabato 17 e domenica 18 giugno l’incendio si estende verso sud, raggiungendo il territorio di Alvaiazere, verso ovest, fino a Ferraria de Saõ João, e verso nord ovest, inghiottendo migliaia di ettari di foresta sulla Serra da Lousa. L’incendio prosegue raggiungendo anche Pampilhosa da Serra e Arganil.

Il bilancio a una settimana dal primo focolaio è di 64 morti ufficializzate dal Governo. I feriti sono 250, le abitazioni distrutte e danneggiate dalle fiamme sono 500, le aziende danneggiate 48 e il danno economico stimato in 500 milioni di euro. La superficie boschiva distrutta dall’incendio è di 53.000 ettari (530 kmq), un’area 265 volte superiore a quella arsa nell’incendio della pineta di Castel Fusano (Ostia) lo scorso 17 luglio.

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Può una trovoada seca (lampo a secco) aver provocato un simile disastro? E un innesco criminoso può avere provocato un rogo che in meno di una settimana ha ridotto in cenere un’area boschiva ampia quanto la superficie aggregata degli stati di Andorra e  San Marino?

La risposta è no. L’incendio del Pinhal Interior Norte si è sviluppato grazie a un concorso di cause e a un serie di errori nella catena di comando che è bene analizzare nel dettaglio.

Causa n° 1: la monocultura dell’eucalipto

La causa principale degli incendi in Portogallo è la monocoltura dell’eucalipto che alimenta l’industria nazionale della carta. L’eucalipto è un albero altamente infiammabile che brucia rapidamente ed emette proiezioni incandescenti della sua corteccia che arrivano fino a centinaia di metri di distanza. Molti testimoni hanno detto di aver visto il fuoco “volare” anche in virtù del forte vento che ha accompagnato il rogo. Oltre alla facilità della combustione, l’eucalipto rende il bosco inabitabile sia da altre specie vegetali, sia per gli animali autoctoni (l’unico animale che riesce a digerirne le foglie è il koala). Altra caratteristica determinante per lo sviluppo dell’incendio è la totale assenza di umidità nei boschi di eucalipti, piante che sopravvivono comportandosi come vere e proprie idrovore.

Le uniche aree di bosco rimaste intatte nell’area maggiormente danneggiata dagli incendi sono quelle che hanno preservato la biodiversità, mantenendo specie locali come castagno, agrifoglio, frassino, leccio e sughero. In cinquant’anni il paesaggio è stato trasformato radicalmente a favore delle due monocolture più redditizie, ma questa scelta ha avuto un impatto ambientale fortissimo sull’intera regione. Le aree boschive sono state pianificate secondo una logica a breve termine, per una redditività immediata e incurante della biodiversità.

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Causa n° 2: la mancanza di integrazione fra prevenzione e intervento.

Nel 2006 il governo socialista di José Socrates scioglie il corpo delle Guardas Florestais facendolo confluire nei ranghi della polizia criminale. La Guardia Forestale era fondamentale nella vigilanza e nella pulizia delle aree boschive, con il potere legale di ordinare ai proprietari dei boschi (all’87% privati) di adottare tutte le misure del caso per evitare gli incendi. Da allora la gestione delle foreste è diventata un vero Far West. Basta addentrarsi in un qualsiasi bosco di eucalipti per notare come tutta la biomassa residua (foglie, cortecce e rami) venga lasciata a terra dai lavoratori che si occupano del taglio per conto terzi. In un bosco caratterizzato dall’assenza di umidità, la biomassa abbandonata dall’incuria dei proprietari e dei madeireiros diventa il combustibile “perfetto” per scatenare catastrofi come quella dello scorso giugno.

Con l’abolizione delle Guardas Florestais la lotta agli incendi ha ora tre pilastri: la GNR (Guarda Nacional Republicana) a cui spetta la vigilanza e la detenzione, l’Instituto da Conservação da Natureza che coordina la prevenzione degli incendi e l’Autoridade Nacional de Protecção Civil che coordina le forze di intervento come il corpo dei Bombeiros e l’INEM (Instituto Nacional de Emergência Médica).

L’incendio di Pedrógão Grande ha strappato il sipario sulla farraginosità di questo sistema: le guardie forestali che sorvegliavano e curavano la prevenzione degli incendi erano le stesse persone che intervenivano sul territorio. Il cortocircuito informativo creatosi per il crollo della rete di comunicazione ha evidenziato l’estrema difficoltà nel coordinamento di queste tre forze.

N.B. Dall’inizio del 2017 anche l’Italia ha abolito il Corpo Forestale facendolo confluire nell’Arma dei Carabinieri. Le cronache di queste settimane non possono che confermare quanto incauta sia stata la scelta fatta dal Governo Renzi.

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Causa n° 3: il collasso del sistema Siresp.

Un altro nodo fondamentale nella ricostruzione della tragedia di Pedrógão Grande è il collasso del sistema Siresp (Sistema Integrado das Redes de Emergência). Nonostante sul suo sito si celebri un tasso di successo del 99,99%, il sistema di comunicazione al quale fa capo la Protezione Civile portoghese aveva rinegoziato al ribasso il suo contratto con lo Stato all’epoca in cui l’attuale primo ministro Antonio Costa era ministro dell’Interno. In seguito alle numerose falle del sistema nel primo periodo di operatività, Costa aveva richiesto uno “sconto” di 52,5 milioni sul contratto che farà spendere al governo portoghese 568 milioni di euro per il periodo 2007-2021.

Dal 17 giugno al 18 giugno il sistema Siresp è collassato ripetutamente rendendo inascoltate le richieste di aiuto delle forze di soccorso e delle persone presenti nell’area dell’incendio. Il sistema dispone di 502 torri e di 2 stazioni mobili in grado di garantire le comunicazioni durante le emergenze, ma fino alla mattina di domenica 18 giugno il sistema è stato in tilt.

Le difficoltà nella comunicazione hanno ritardato gli interventi e la chiusura delle strade IC8 e N236-1, la cosiddetta “strada della morte” nella quale hanno perso la vita 47 persone.

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Come dimostrano queste foto che ho scattato nei pressi di Maça Dona Maria e di Cabeças le linee telefoniche passano in mezzo al bosco, con cavi sostenuti da pilastri di legno e talvolta persino dai rami degli alberi. Nel caso di un nuovo incendio i cavi bruceranno e le linee telefoniche saranno nuovamente inutilizzabili. Nonostante ciò, in queste settimane, ho visto predisporre nuovi cavi sospesi su pilastri di legno nelle stesse zone dell’incendio.

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Su Tvi Ricardo Pereira, responsabile di una delle squadre che hanno allestito la rete di fibra ottica nel tratto di strada dove hanno perso la vita 47 persone, ha accusato il Governo di non avere utilizzato le canaline sotterranee che avrebbero evitato il collasso della rete Siresp. L’infrastruttura era pronta da tempo, ma non è stata utilizzata. Perché?

Causa n° 4: la mancanza di un’educazione all’auto-protezione.

Molte delle vittime dell’incendio di Pedrógão Grande sono rimaste uccise nella disperata fuga dalle fiamme. Lungo la strada N236-1 e nelle vie limitrofe sono ancora presenti le “impronte” delle autovetture bruciate nel rogo di giugno. Altre persone si sono salvate, chiudendosi in casa o immergendosi in una cisterna d’acqua come i dodici abitanti di Nodeirinho che sono rimasti in prossimità delle loro abitazioni. Nelle aree boschive di un Paese come il Portogallo, in cui gli incendi estivi sono all’ordine del giorno la Protezione Civile deve individuare aree di sicurezza e addestrare all’auto-protezione. Le popolazioni a ridosso delle foreste devono essere in grado di far fronte all’emergenza prima che arrivino i soccorsi. I villaggi devono disporre di allacciamenti all’acquedotto e gomme in grado di spegnere i focolai più vicini alle abitazioni. Bisogna creare fasce di protezione intorno ai centri abitati e piste tagliafuoco.

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Causa n° 5: la carenza di organico nel corpo dei pompieri.

Nonostante da giovedì 15 giugno fosse stata data la massima all’erta per il rischio d’incendio e fosse stata rinforzata la presenza di pompieri nella vicina Castelo Branco, alle 20 di sabato 17 giugno (a oltre 5 ore dai primi focolai) erano presenti nell’area interessata dalle fiamme 234 pompieri e 69 veicoli ma nessun aereo. Alle 23 del sabato i pompieri erano 400, domenica 18 giugno 1112 e lunedì 19 giugno 1426 con 406 veicoli e il supporto di mezzi provenienti da Marocco, Francia, Italia e Spagna.

In molti villaggi i pompieri sono arrivati solamente alla domenica. La priorità delle squadre operative nelle prime ore è stata salvare le vite e le abitazioni, questo ha consentito al fuoco di estendersi senza controllo nelle aree boschive disabitate.

Anche la data ha giocato un ruolo determinante nella carenza d’organico: la maggior parte dei pompieri sono volontari e il picco della disponibilità di uomini nelle operazioni di lotta agli incendi si ha fra il 1° luglio e il 30 settembre durante la fase Charlie. Nel mese di giugno il rischio d’incendio è statisticamente ridotto, così come il numero di personale operativo.

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Causa n° 6: la gestione centralizzata dell’emergenza.

Sono numerose le testimonianze di persone le cui richieste di soccorso sono state dirottate a Lisbona, dove il personale di turno non aveva la benché minima conoscenza del territorio nel quale era in atto l’incendio. Sin dalla serata di sabato 17 si è capito che l’incendio del Pinhal Interior Norte sarebbe diventato una questione politica. Il primo ministro Antonio Costa e le autorità hanno immediatamente sposato la tesi della trovoada seca e, nelle prime 24 ore, è stata questa la versione sposata dai media.

Senza la conoscenza di un territorio che è un vero dedalo di strade in mezzo ai boschi, la gestione da Lisbona dell’emergenza sarebbe già stata un problema, con il collasso del Siresp è diventata praticamente impossibile.

A un mese dai fatti, il governo ha deciso di centralizzare tutta la comunicazione: i dirigenti dei Bombeiros sono stati silenziati e a parlare dei fatti dello scorso giugno saranno solamente i responsabili della Protezione Civile.

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Causa n° 7: la mancanza di un piano di protezione e gestione degli incendi.

Lo scorso 2 luglio l’associazione ambientalista Quercus ha denunciato l’assenza di Piani Municipali di Difesa della Foresta contro gli Incendi approvati da parte dei comuni di Castanheira de Pera e Pedrógão Grande.  Ogni comune portoghese ha l’obbligo legale di elaborare e mettere in pratica sia il PMDFCI (Plano Municipal de Defesa da Floresta Contra Incêndios) che il POM (Plano Operacional Municipal).

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Causa n° 8: la mancanza di fasce di protezione.

L’estrema volatilità della corteccia e delle foglie di eucalipto ha permesso all’incendio di superare anche le arterie stradali più ampie, come la IC8 e la N236-1. Nella quasi totalità dei villaggi del Pinhal Interior Norte non esistono fasce di protezione che garantiscano la sicurezza degli abitanti e degli edifici. Nelle aree boschive esistono solamente strade carrarecce utilizzate per il taglio del bosco, ma sono del tutto assenti piste tagliafuoco in grado di interrompere la corsa dell’incendio. Inoltre, in assenza di un organismo in grado di imporre l’obbligo legale della pulizia del bosco i residui del taglio restano sul terreno diventando il combustibile che fa da relais nei tratti dove non ci sono alberi.

Dopo l’incendio alcuni villaggi si stanno organizzando per creare della fasce di protezione. È il caso di Ferraria de Saõ João che da alcuni giorni ha iniziato a tagliare gli eucalipti più vicini alle abitazioni per creare una fascia di protezione di almeno 100 metri. I sugheri e altre piante autoctone hanno funzionato da “muro” contro l’incendio. Le poche macchie verdi sopravvissute all’incendio sono di specie autoctone, come il castagno e il frassino. Proprio il rimboschimento con  specie autoctone contribuirà a consolidare la fascia di protezione che verrà pianificata catasto alla mano.

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La situazione a 40 giorni dall’incendio

Nel momento in cui scriviamo, a 40 giorni dall’incendio, le popolazioni non hanno ancora ricevuto i 13 milioni di euro che i portoghesi hanno devoluto in beneficenza per sostenere le popolazioni rimaste senza abitazioni e campi coltivati.

Domenica 23 luglio i familiari delle vittime si sono riuniti a Figueiró dos Vinhos per “contarsi” e iniziare a imbastire una strategia finalizzata a evitare che un evento del genere possa ripetersi.

Nella stessa giornata di domenica 23 luglio, a pochi chilometri da Pedrógão Grande è scoppiato un nuovo incendio nel quale sono bruciati altri 25.000 ettari di foresta nei municipi di Sertã, Maxial, Mação e Proença-a-Nova.

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Anche in questo caso il sistema Siresp è collassato non riuscendo a sostenere le richieste della cittadinanza.

Lunedì 24 luglio il Governo ha riconosciuto l’incendio come “catastrofe naturale” stanziando 10 milioni di euro per le opere più urgenti.

Martedì 25 luglio, 39 giorni dopo l’incendio, la Procura Generale della Repubblica ha pubblicato la lista ufficiale con i nomi delle vittime, un elemento fondamentale per il lavoro delle compagnie assicurative e per l’organizzazione dell’Associação dos Familiares das Vítimas.

[Foto | Peter Wilton-Davies e Davide Mazzocco]

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Giornalista e saggista, ha scritto di ecologia, ambiente e mobilità sostenibile per numerose testate fra cui Gazzetta, La Stampa Tuttogreen, Ecoblog, La Nuova Ecologia, Terra, Narcomafie, Slow News, Slow Food, Ciclismo, Alp ed ExtraTorino. Ha pubblicato numerosi saggi fra cui “Giornalismo online”, “Propaganda Pop”, "Cronofagia" e "Geomanzia".

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