Il ragazzo selvaggio – Il naturale anelito verso la libertà

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Il ragazzo selvaggio – Il naturale anelito verso la libertà ultima modifica: 2017-04-30T08:30:19+02:00 da Emanuel Trotto
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Il fatto

Estate del 1800 nella foresta dell’Aveyron viene catturato un ragazzo. Portato a Parigi si cerca di ricostruire la sua esistenza. Ha circa dodici anni e presenta una vistosa cicatrice sotto il mento. Probabilmente è stato abbandonato da quando aveva tre anni, nel tentativo di disfarsene uccidendolo. Ma è sopravvissuto, e per i successivi otto anni è vissuto nei boschi come un animale selvatico.

Il ragazzo selvaggio

Il commento

Ci sono storie, a volte che sono davvero incredibili. Alcune così tanto da risultare assolutamente vere. Perché non ce lo aspettiamo e il nostro buon senso ci dice che è troppo assurda non può essere che vera. Altre sono così fasulle proprio per lo stesso motivo. Lì perché il nostro senso di incredulità ha posto un violento freno. Una di queste è la storia della “ragazza Mowgli” che è circolata poche settimane fa sulle pagine dei social e su importanti testate giornalistiche.

La storia, come ce la presentavano suonava più o meno così: due mesi fa la polizia dell’Uttar Pradesh (India), nel corso del pattugliamento di una riserva, ha trovato una bimba di otto anni nuda fra delle scimmie. Essa si comportava come i primati. Non parlava, emetteva solo suoni gutturali e si muoveva aiutandosi con le mani. Rifuggendo gli altri esseri umani e anelando il ritorno nella foresta. Dal “Times of India” in poi si è subito ribattezzato la bimba “ragazza Mowgli”. Come il protagonista de Il libro della giungla.

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L’entusiasmo si è subito dissipato dopo indagini più approfondite sulle sue origini. Si tratta infatti di una ragazzina con disabilità mentali. La famiglia l’ha abbandonata a causa delle stesse. Oltre al fatto di essere donna. Quindi c’è solo un retaggio mentale oscuro e purtroppo non superato alla base di tutto. Il desiderio di romanzare e abbellire la realtà da parte dei suoi salvatori, ha fatto il resto.

Ci sono storie poi, ancestrali, legate a un rapporto edipico mai risolto fra l’uomo e l’ambiente naturale. Molte tradizioni europee folkloristiche parlano del così detto “Uomo selvatico”. Figura iconica e leggendaria che rappresenta il lato oscuro e incontrollabile della Natura. Come si sa quello che non si conosce, spesso fa paura. E la paura diviene leggenda. Anche la storia di Victor de l’Aveyron è cominciata proprio in questa maniera. La sua storia che ha ispirato il film Il ragazzo selvaggio di François Truffaut del 1969.

Victor non era una leggenda. Prima di essere Victor, egli era “il selvaggio dell’Aveyron”. Venne catturato nel 1800. Aveva circa dodici anni, e da almeno otto viveva come un animale nei boschi della Francia. Anche lui presumibilmente abbandonato da piccolo. Dopo alcuni accertamenti il dottor Itard di Parigi decise di impartirgli un’educazione trovando in questo fanciullo l’essere umano puro, non corrotto dal vivere civile.

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Itard parte da questa idea. Determinare quali sarebbero il grado di intelligenza e la natura delle idee di un adolescente che, privato di qualsiasi forma di educazione, abbia vissuto completamente separato dagli individui della sua specie. Il film di Truffaut parte proprio da questo. Raccontare una formazione anomala. Interpretando lui stesso Itard si fa il banale errore di credere che il regista approvi le idee dello scienziato, mentre la realtà è ben diversa. Lui guarda a Itard e a Victor come se fossero lontani, in maniera quasi documentaristica, attraverso figure intere, pochi, pochissimi primi piani o particolari. E in un bianco e nero, che uniforma tutto e rende tutto, paradossalmente più vicino.

Truffaut prende le varie posizioni con le dovute riserve. Descrive la realizzazione del rapporto (sul quale si basa la sceneggiatura) di Itard sul caso, con tanto di voce fuori campo. Quello che emerge è quello che non viene detto dalle parole, ma che si potrebbe leggere fra le fredde parole dello studioso. Il desiderio di libertà repressa, o controllata dalla civilizzazione e dall’educazione nel quale si vorrebbe “reinserire” a forza il ragazzo. C’è una sorta di fascinazione che esula dalla scientificità, che è la visione della purezza di quel rapporto edipico che in Victor sembra risolto.

Infatti, la sensazione primordiale, immediata alla visione del film è di identificarsi con Victor, di scappare via verso un qualcosa, per noi, perfettamente normale. Ma completamente estraneo, pauroso, con cui ha convissuto benissimo. Il desiderio continuo di fuggire, di assaporare la purezza di un bicchiere d’acqua mentre si guarda il mondo attraverso una finestra. Lo si fa anelando a qualcosa di perduto. La libertà primigenia, che la finestra – schermo che riesce a liberarci anche per poco tempo. Attraverso una storia vera, come tutte quelle che vediamo in un film, per quanto assurde. Ma che, in quel momento, non sono tali. Anzi, costituiscono in quel momento tutto il nostro mondo.

Scheda film

  • Titolo originale: L’enfant sauvage (The wild Child);
  • Regia: François Truffaut;
  • Soggetto e sceneggiatura: François Truffaut, Jean Gruault da “Memoire et rapport sur Victor de l’Aveyron” di Jean Itard;
  • Interpreti: Jean-Pierre Cargol (Victor), François Truffaut (Dott. Jean Itard), Françoise Seigner; (M.me Guérin), Paul Villé (Remy), Jean Dasté (Prof. Pinel), Pierre Fabre (infermiere), Claude Miler (sig. Lémeri), Annie Miler (sig.ra Lémeri), Nathan Miler (bambino Lémeri), Mathieu Schiffman (Mathieu);
  • Origine: Francia, 1969;
  • Durata: 85′
  • Temi: CINEMA, NATURA, SCIENZA, PEDAGOGIA

Il ragazzo selvaggio – Il naturale anelito verso la libertà ultima modifica: 2017-04-30T08:30:19+02:00 da Emanuel Trotto

Nato a Biella nel 1989, si è laureato in Storia del Cinema presso il DAMS di Torino nel 2012, ha partecipato alla rassegna stampa per l’Università al 29, 30, 31mo Torino Film Festival e ha collaborato per il Festival CinemAmbiente 2014. Collabora per diversi blog di cinema e free culture (Il superstite) e associazioni artistiche (Metropolis). Ha diretto due cortometraggi: E Dio creò le mutande (2011), All’ombra delle foglie (2012).

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