“Il mammut lanoso rivivrà entro due anni”. Questo l’annuncio di George Church, professore dell’Università di Harvard, pronunciato durante il meeting dell’American Association for the Advancement of Science dello scorso febbraio.
Grazie all’ausilio di un utero artificiale e dell’ingegneria genetica, potrebbe essere possibile de-estinguere il pachiderma peloso scomparso 4 mila anni fa, unendo il DNA recuperato nel permafrost con quello compatibile dell’elefante asiatico, creando in questo modo gli embrioni di un ibrido, già ribattezzato “Mammophant”, in Italiano Mammofante.
Ormai non ci sono limiti tra realtà e fantascienza, così l’uomo (una delle cause, secondo alcuni, dell’estinzione del mammut) pare stia cercando di farsi perdonare.
Gli studiosi americani ritengono che grazie a questo esperimento sarà possibile salvare l’elefante asiatico dall’estinzione che lo minaccia. Ma i dubbi di carattere etico si fanno sentire.
Alcuni studiosi si chiedono come reagirebbero gli altri elefanti alla presenza di questa nuova specie arrivata dal nulla (o quasi).
Senza considerare la reazione di cacciatori e bracconieri che ogni anno (secondo il WWF) massacrano circa 20.000 elefanti africani per ottenere l’avorio delle zanne. Molto probabilmente farebbero festa. Se non per le zanne, che vista l’influenza genetica della specie asiatica potrebbero mancare, per una buona dose di pelliccia o chissà cosa altro.
Vale davvero la pena, per salvare l’elefante asiatico, ricreare in laboratorio animali che potrebbero trasformarsi facilmente in nuovi bersagli del commercio venatorio illegale? Per tutelare le specie esistenti e rimediare agli errori della storia, sarebbe sufficiente agire affinché non si ripetano.
Bello il mammofonte—