Secondo un recente studio pubblicato sulla rivista Current Biology, un decimo delle aree naturali terrestri è andato perduto dai primi anni ’90 ad oggi. E senza una decisa inversione di tendenza, potrebbero non esisterne più entro il 2100.
«Nonostante le aree naturali siano fondamentali per la conservazione della biodiversità, per la regolazione dei microclimi locali e per il sostentamento di molte comunità locali emarginate politicamente ed economicamente, queste sono completamente ignorate a livello di politica ambientale» ha affermato il dott. James Watson dell’Università del Queensland in Australia, autore principale dello studio. «Senza politiche specifiche volte a proteggere queste aree, esse diventano vittime dello sviluppo diffuso. Ci rimangono probabilmente da uno a due decenni per modificare tutto ciò. Gli organi politici internazionali devono individuare le azioni necessarie per preservare le aree naturali esistenti, prima che sia troppo tardi».
La perdita su vasta scala delle aree naturali esistenti potrebbe avere conseguenze disastrose a livello di cambiamento climatico. Le foreste immagazzinano infatti grandi quantità di carbonio che, se rilasciate nell’atmosfera, potrebbero accelerare il processo di riscaldamento globale. Gli autori precisano che «evitare le emissioni proteggendo le aree naturali, in particolare quelle boreali e dell’Amazzonia, darebbe un contributo significativo alla stabilizzazione delle concentrazioni atmosferiche di CO2».
Lo studio sostiene infatti che la distruzione delle foreste causata da attività industriali ed estrattive, dagli incendi provocati dall’uomo e dai rapidi cambiamenti climatici degli ultimi anni, potrebbe trasformare queste ultime da serbatoi benefici in grado di assorbire carbonio, a dannose fonti di emissione dello stesso. La perdita delle aree naturali, inoltre, minaccerebbe anche la sopravvivenza di molte specie animali inserite nella lista rossa delle specie in via di estinzione.