Nel 2016 Zootropolis ci ha portati a conoscere la volpe Nick, rappresentante dell’emblema degli animali carnivori in opposizione all’erbivora coniglietta, Judy, che condivide con lui la scena da protagonista.
Nella città degli animali c’è un’apparente pacifica convivenza, un’antropomorfizzazione forzata grazie alla quale il leone sindaco non è perennemente portato a mangiare la sua pecorella segretaria. Tuttavia, il pregiudizio è sempre in agguato e, a ben vedere, i mestieri tipicamente “da umani” svolti dalle varie specie animali sono portatori di alcuni valori associati, per natura, all’essere prede o predatori. Insomma, se sei un coniglio (femmina, per giunta) non puoi essere poliziotto, se sei una volpe non puoi essere onesto.
A Zootropolis i predatori sono riusciti, per cultura, a reprimere i loro primi istinti fino a che, a causa dell’ingerimento di un mirtillo velenoso, impazziscono e ritornano ad essere carnivore e selvagge. Solo allora viene messa in dubbio la possibilità che prede e predatori possano vivere insieme e, perciò, i primi vengono internati per paura di aggressioni continue.
Scoperto il misfatto e trovata la cura tutto torna come prima. Anzi, in una situazione migliore rispetto a quella di partenza, nella quale gli stereotipi iniziali vengono abbattuti: Judy diventa capo della polizia e Nick, riscopertosi onesto nonostante la sua natura, ne entra a far parte per difendere i suoi concittadini.
Sei anni fa Wes Anderson proponeva una situazione decisamente diversa in Fantastic Mr. Fox, il suo primo lungometraggio animato in stop motion, film che ho rivisto pochi giorni fa. Oltre al palese parallelismo nel fatto che il protagonista sia una volpe, ho notato significative differenze nel modo d’intendere l’importanza del ritorno allo stato selvatico degli animali rispetto alla culturale antropomorfizzazione alla quale ci siamo abituati in molti film d’animazione con loro protagonisti.
Mr. Fox tenta di reprimere il suo istinto di rubare le galline ma, di nascosto dalla moglie, prova il suo “ultimo” grande colpo contro tre temibili industrie. Questo costerà la distruzione non solo della sua casa albero, ma di quella di tutti i componenti della fauna locale ad opera dei tre proprietari delle tre fabbriche.
In che modo si possono salvare? Ritornando al loro stato di natura e sfruttando le capacità tipiche delle specie animali di appartenenza, quelle insite nel loro nome latino e non in quello che culturalmente si sono affibbiati per assomigliare agli esseri umani loro vicini: per il protagonista l’astuzia, per il castoro costruire dighe, per il coniglio correre velocemente e così via.
L’essere animali selvatici in questo caso viene premiato (al contrario di come avviene in Zootropolis). La “natura” vince sulla “cultura” e sul tentativo di sembrare ciò che non si è, ovvero umani, cercando di placare il proprio essere bestie. Tuttavia, lo spettatore si accorge benissimo che, forse, le vere bestie sono proprio quelle a cui gli animali tanto vogliono essere simili.