Devil Comes To Koko: storia di ossessioni, teatro e discariche tossiche

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Devil Comes To Koko: storia di ossessioni, teatro e discariche tossiche ultima modifica: 2016-06-22T08:00:22+02:00 da Valentina Tibaldi
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Nel 1987 degli imprenditori italiani importarono illegalmente rifiuti tossici a Koko: la zona fu contaminata mentre gli abitanti, ignari, continuavano la loro vita

Un viaggio per scacciare un’ossessione, per documentarsi su drammatici episodi accaduti in tempi e territori lontani, per portare a termine un processo creativo teatrale e cinematografico che scalpitava per essere completato. E’ il viaggio di Alfie Nze, brillante regista di “Devil Comes To Koko”, documentario vincitore, all’interno del Green Film Network, della Menzione Speciale Legambiente al festival CinemAmbiente 2016.

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Ho scelto di raccontare questa storia a causa della tormentosa memoria dello scarico di rifiuti tossici avvenuto nel 1987 nel piccolo villaggio di Koko, sul delta del Nigerci ha raccontato lo stesso Alfie Nze.Anche se non sono originario di quel villaggio, il ricordo ha continuato a perseguitarmi e ho voluto riportare alla luce quella storia per evidenziare il fatto che stiamo ancora subendo gli stessi problemi ambientali dopo tanti anni. Dato che il film trae origine da uno spettacolo teatrale ispirato a quell’odiosa storia, ho seguito le tracce del teatro. E’ come se i personaggi abbandonassero la scena per guardare meglio ciò che li ha creati… una sorta di pirandelliano “Sei personaggi in cerca d’autore”. Ora i protagonisti sono fuori dal palcoscenico, in cerca dell’ambiente che ha dato loro la vita”.

Un’ulteriore ragione, potente come il desiderio di riparare a un torto nato da una palese ingiustizia, ha spinto inoltre il regista a realizzare il suo lavoro: “Vorrei che questo film aprisse una strada affinché il Governo Italiano risarcisca con una qualche forma di compensazione gli abitanti di Koko!”.

Il regista di Devil Comes to Koko
Alfie Nze, il regista di Devil Comes to Koko

Sì, perché in questa brutta storia l’Italia gioca un ruolo primario e poco lusinghiero. Furono infatti alcuni imprenditori italiani a importare illegalmente rifiuti tossici a Koko: la zona fu completamente contaminata mentre gli abitanti, ignari, continuavano la vita di sempre. Il caso esplose quando un gruppo di studenti nigeriani residenti a Pisa vennero a sapere di anomali spostamenti di navi dai porti italiani verso la Nigeria e inviarono ai quotidiani nigeriani alcuni articoli di una giovane giornalista che indagava indipendentemente. Ci fu un incidente diplomatico che pose le basi per l’Environmental Protection Act, prima legge nigeriana sulla protezione ambientale. Tuttavia, la zona di Koko, il suo ecosistema, nonché la vita degli abitanti e degli operatori coinvolti nel carico dei rifiuti, erano oramai compromessi.

Il cinema, essendo un fenomeno di massa, è uno strumento potentissimo che può essere utilizzato nella lotta per la salvaguardia ambientale, rendendo un gran numero di persone consapevoli delle conseguenze delle azioni di ciascuno” continua il regista, ribadendo l’importanza di far conoscere questi fatti. “Il mio film in particolare può essere usato per mostrare come le azioni di pochi individui possano cambiare le cose in meglio o in peggio; il sindacato degli imprenditori che gettarono i rifiuti tossici nel villaggio di Koko, l’azione incredibilmente coraggiosa del professor Enrico Falqui dell’Università di Firenze, e molti molti altri…la lista delle persone che hanno fatto sì che questa storia raggiungesse me, adolescente di Lagos, è praticamente senza fine!

La vicenda dei rifiuti, poi, si intreccia con un altro increscioso avvenimento accaduto sul territorio alla fine del XIX secolo: il saccheggio del Benin, spedizione punitiva britannica che, attraverso il porto di Koko, invase il Regno indipendente del Benin, massacrandone gli abitanti, incendiandone la capitale e depredandolo dei suoi manufatti.

Come mostrano le immagini, Alfie viene a sapere dell’episodio una volta recatosi in loco, e non manca di farlo diventare parte integrante della storia. Con lo stile che, ci spiega, gli risulta più congeniale: “Lo stile del film proviene dal mio personale stile di narrazione. Essendo anche un regista teatrale, narro la vita per metafore. Poiché il mondo di oggi è sazio di immagini, occorre trovare un modo originale di raccontare una storia, specialmente una storia che risale a trent’anni fa, che potrebbe facilmente essere archiviata come “già sentita” da parte dello spettatore. Paradossalmente, spesso, le metafore sono la finestra migliore attraverso cui guardare la realtà”. In questo caso, la metafora- quella di un terra in cui non piove da otto anni- ci mette di fronte a verità fin troppo reali, e ci svela responsabilità che non immaginavamo neppure di avere.

Devil Comes To Koko: storia di ossessioni, teatro e discariche tossiche ultima modifica: 2016-06-22T08:00:22+02:00 da Valentina Tibaldi
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Lettrice accanita e scrittrice compulsiva, trova in campo ambientale il giusto habitat per dare libero sfogo alla sua ingombrante vena idealista. Sulla carta è laureata in Lingue e specializzata in Comunicazione per la Sostenibilità, nella vita quotidiana è una rompiscatole universalmente riconosciuta in materia di buone pratiche ed etica ambientale. Ha un sogno nel cassetto e nella valigia, già pronta sull’uscio per ogni evenienza: vivere di scrittura guardando il mare.

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