Poverty, Inc., quando la beneficenza diventa un limite

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Poverty, Inc., quando la beneficenza diventa un limite ultima modifica: 2016-05-26T08:00:03+02:00 da Alberto Pinto
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Donare è un atto di profonda umanità e solidarietà. Un gesto disinteressato per tendere la mano a chi è più sfortunato, e che sempre più spesso deleghiamo ad enti e associazioni specializzate. Che impatto ha il lavoro di queste organizzazioni sullo sviluppo di un Paese che lotta contro la povertà?

A dare una risposta è “Poverty, Inc.”, il bellissimo documentario statunitense diretto da Michael Matheson Miller, premiato come Miglior Lungometraggio Documentario al FIFE 2016 e in concorso alla diciannovesima edizione del Festival CinemAmbiente di Torino, entrambi membri della rete Green Film Network.

Poverty, Inc.” prova a far luce su un lato inaspettato della beneficenza. I Paesi occidentali si trovano storicamente al centro dello sviluppo dei Paesi più poveri, e il sistema di aiuti umanitari somiglia sempre di più ad un’industria a tutti gli effetti.

Poverty, Inc._4 ©Simon Scionka (Ghana Entrepreneur)

Il film è frutto delle esperienze di vita dell’intero staff che ha lavorato alla sua realizzazione, come ci ha raccontato Mark Weber, co-produttore del documentario con il quale abbiamo parlato. “La nostra motivazione comune è stata la presa di coscienza che la modalità predominante della lotta alla povertà pone l’Occidente come il protagonista dello sviluppo, spesso a scapito dei paesi ‘beneficiari’, i cui governi sono compromessi e le cui industrie sono minate. Su un piano filosofico antropologico, poniamo i poveri come ‘altri’, con una tendenza a trasformarli in oggetti della nostra carità, piuttosto che considerarli correttamente come protagonisti della propria storia di sviluppo”.

Nonostante i buoni propositi, il problema di fondo dell’industria della carità è la sua sostanziale inconcludenza, che a volte sfocia in danni maggiori a causa degli interessi in gioco. Se la povertà venisse realmente sconfitta, la falla nel sistema provocherebbe il crollo dell’intera industria.

Alla creazione di questo circolo vizioso contribuisce anche il sistema dei media, con la produzione di un immaginario travisato di queste realtà, raccontandole come prive di mezzi e di capacità necessarie per camminare con le proprie gambe.

Poverty, Inc._8 Enersa panel

Il sistema vigente degli aiuti umanitari rischia di rendere le popolazioni disagiate dipendenti dalle organizzazioni, e la carità finisce con il diventare un limite per lo sviluppo di politiche di assistenza efficaci e a lungo termine. “Poverty, Inc.” mostra, però, il volto di realtà operose e virtuose che con le proprie forze lottano per costruire un futuro diverso.

Mi definisco un ambientalista a priori”, prosegue Weber. “Con questo intendo che noi non dovremmo aver bisogno di un disastro ambientale imminente per motivarci ad essere buoni gestori del nostro ambiente. Ciò che mi piace della storia di Enersa, la storia della compagnia di pannelli solari di Haiti, è che dimostra come lo sviluppo umano non debba essere a scapito dell’ambiente, ma piuttosto una forza armonizzante. Ci sono innumerevoli esempi di comportamenti irresponsabili e distruttivi, ma credo che ci siano anche innumerevoli esempi di cultura del pianeta attraverso l’impresa. Penso che dovremmo adottare una mentalità che valorizzi l’armonizzazione tra lo sviluppo umano e la gestione dell’ambiente, piuttosto che vedere queste due cose come in sostanziale contrasto reciproco”.

Poverty, Inc.” non ha l’intento di scoraggiare la beneficenza, ma invita a riconsiderare l’attuale sistema degli aiuti. Con uno stile chiaro e diretto, il documentario racconta realtà pronte a lottare per il proprio sviluppo, a cui ciò che serve è una semplice opportunità per non restare esclusi in partenza.

Poverty, Inc._1 ©Mark Waters (Haiti. Enersa Market Woman)

Tra le più importanti scelte stilistiche che il nostro regista ha compiuto c’è la decisione di intervistare e mettere in risalto persone di successo provenienti dai Paesi in via di sviluppo”, conclude Mark Weber. “C’è chi ci ha accusato di aver intervistato ‘ricchi africani’. Ciò rappresenta la linea di pensiero di alcune persone che ritengono che un film sulla povertà debba intervistare solo, o soprattutto, i poveri. Ma questo non è un film sulla povertà, ma sulla prosperità umana e sul modo in cui ci rapportiamo alle persone nei paesi in via di sviluppo. Ciò che la gente spesso perde di vista è che queste persone non vivono su un pianeta separato da quelli che lottano contro la povertà estrema. Sono profondamente connessi. Il momento che più mi ha toccato è stato quando una donna del Camerun si è avvicinata a noi con le lacrime agli occhi e ha detto: << Oggi sono orgogliosa di essere una donna africana>>. Questa è la risposta che lo stile del film aveva intenzione di evocare, l’esatto opposto dell’oggettivazione e dell’immaginario della pietà, spesso usato per sollecitare le donazioni”.

Mercoledì 1° giugno, alle ore 18:00, “Poverty, Inc.” sarà proiettato nella sala 1 del Cinema Massimo, per la sezione Concorso Internazionale One Hour di CinemAmbiente 2016, a Torino dal 31 maggio al 5 giugno.

Poverty, Inc., quando la beneficenza diventa un limite ultima modifica: 2016-05-26T08:00:03+02:00 da Alberto Pinto

Beneventano, laureato in comunicazione audiovisiva. Appassionato di cinema, serie televisive, viaggi e di tutto ciò che è arte e comunicazione. Creativo, curioso e sognatore, ama immergersi nelle storie e scoprirne dettagli e sfaccettature. Per eHabitat scrive di musica e di cinema

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