Nessun prodotto ottenuto tramite forme di sfruttamento animale, né addosso né tantomeno in bocca: questa è la regola ferrea dei vegani, categoria in costante crescita che pone l’etica di non nuocere ad altri esseri viventi di fronte a qualunque capriccio o bisogno personale.
Proverbiale e mai sopita, la disputa con i carnivori è quanto mai attuale e si è recentemente accesa di nuovo astio in seguito alle vicende che hanno visto protagonisti personaggi pubblici molto seguiti (Carlo Cracco con il piccione cucinato a Masterchef e l’agguato a Giuseppe Cruciani, conduttore radiofonico minacciato da un drappello di vegani dopo ripetute dichiarazioni ridicolizzanti, docent).
Oltre a tutto ciò e a una radicata quanto ben definita contrapposizione in campo alimentare, esiste un mondo. Esiste, ad esempio, una nuova categoria di “commensali” che, pur partendo vegana, si trova ad essere estromessa dal gruppo, colpevole di un conflitto di ideali che si esprime in una contraddizione in termini: sono i “veggans” (neologismo derivato dalla fusione di “vegans” ed “egg”), sedicenti vegani che non escludono totalmente le uova dalla loro dieta.
Un compromesso di comodo, in cui i gusti personali hanno la meglio su una condotta di vita cruelty-free? Tale è l’accusa che i puristi muovono a queste persone, insieme alla critica per una scelta lessicale che non intende rinunciare al vocabolo “vegano”, usato impropriamente pur di garantire maggiore appetibilità in ambito comunicativo (in termini di hashtag, tra #veggans e #ovotarians non c’è effettivamente gara).
Da parte loro, i veggans si difendono con argomentazioni a cui l’etica non manca di certo: le uova in questione sono infatti molto particolari, perché prodotte da galline considerate troppo vecchie per i ritmi e gli standard del mercato, che verrebbero uccise all’età di 72 settimane se non avessero la loro fetta di consumatori interessati.
“Vendere le uova aiuta a coprire i costi del santuario” ha dichiarato al quotidiano inglese The Guardian Linda Turvey, che gestisce l’Hen Heaven Sanctuary nel Sussex. “Il sovrapprezzo che attribuiamo loro è per il fondo pensione delle galline” rivela alla stessa testata Isobel Davies, co-fondatrice dell’organizzazione Hen Nation, che vende online uova cruelty-free dal North Yorkshire. In queste strutture, gli agricoltori e i volontari che si prendono cura delle galline si limitano a raccogliere le uova deposte spontaneamente e naturalmente dagli animali.
Chiarito il punto, la diatriba con i vegani nudi e crudi si riassume nella posizione ufficiale diffusa dalla Vegan Society: “Salvare le galline di batteria è una pratica meravigliosa e compassionevole che la Vegan Society condivide con convinzione. Ma chiediamo alla gente di mostrare il proprio supporto offrendo tempo o donazioni, piuttosto che comprare uova allo scopo di mangiarle. Non abbiamo nessun diritto di prenderle, le galline non possono dare il loro consenso”.
Un estremismo? Forse. Ma, al di là delle rispettive accuse o delle specifiche divisioni, interrogarsi e creare dibattito attorno a scelte alimentari più consapevoli, sostenibili e rispettose di risorse ambientali e benessere animale non può che rendere gli uomini più umani.

chi mangia uova non è vegano.
i vegani che mangiano le uova si chiamano vegetariani, ma perché c’è sempre tutta questa necessità di inventarsi nuove etichette?
Grazie Sabrina per il tuo commento! Sono d’accordo, le etichette sono spesso inutili. Al di là delle denominazioni, che documentiamo proprio per creare spunti di riflessione, l’importante è che attraverso l’informazione si diffonda una cultura del cibo che finalmente rispetti di più il benessere animale e le risorse ambientali.