Trivelle: molte le polemiche, tante le difficoltà sulle norme e sui controlli nelle aree interessate. La battaglia infuria indisturbata nel Mediterraneo
Il mondo lotta contro i cambiamenti climatici, ma il petrolio resta l’oro nero che non dà tregua al nostro pianeta. Sebbene le potenze mondiali si siano e si stiano interrogando sulle soluzioni da trovare, spesso i problemi emergono e scompaiono alla velocità della luce senza trovare fine. È l’esempio di una piaga che per qualche mese ha preoccupato la stampa nazionale e poi è nuovamente caduta nell’oblio: le trivellazioni alla ricerca del petrolio in mare.
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Molte sono le polemiche, tante le difficoltà sulle normative e sui controlli da effettuare nelle aree interessate e il risultato è che la battaglia delle trivelle infuria indisturbata ancora oggi nel Mediterraneo. Mentre siamo tutti concentrati sui problemi della terra ferma, in mare e nei nostri corsi d’acqua si sta verificando un disastro che potrebbe portare a conseguenze enormi.

Per fare un esempio, in Basilicata si estrae l’80% di tutto il petrolio italiano ormai da 25 anni e i danni all’ambiente e al turismo sono inestimabili. Sebbene le compagnie petrolifere amino propagandare che con le trivellazioni i danni sono minori, sia nell’aria che nelle falde freatiche e nel mare stesso, i rischi sono invece altissimi. Uno studio di qualche anno fa di Scientific American, dal titolo “Drilling for Natural Gas, Contaminating Water”, aveva dimostrato che negli Stati Uniti, dove i controlli sono di gran lunga più severi e meticolosi che in Italia, si registravano circa 1000 casi di contaminazione di sostanze tossiche nei pozzi d’acqua ad uso umano a causa di estrazioni di gas naturale o petrolio. In vari casi, si erano trovati benzene, lubrificanti e altri composti chimici nell’acqua teoricamente potabile.
Le sostanze chimiche utilizzate per perforare o estrarre gas, infatti, restano nel terreno e si infiltrano nelle falde acquifere, inquinandole con materiali tossici. L’opera di estrazione necessita inoltre di molta acqua ad alta pressione, che molto spesso è caratterizzata da presenza di idrocarburi, composti organici, metalli, sali e altre sostanze chimiche di lavorazione. La sua elevata salinità può, infine, cambiare la composizione chimica del terreno, riducendone qualità e fertilità.

Ma allora perché lo Sblocca Italia va in tutt’altra direzione? Perché lo scorso giugno il Ministero dell’Ambiente di concerto con il Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, attraverso un decreto, ha autorizzato la Nothern Petroleum ad effettuare delle prospezioni geosismiche per la ricerca di petrolio a largo del tratto di costa che va da Bari a Brindisi?
La scelta di autorizzare la ricerca di petrolio nel nostro mare purtroppo continua e metterà a serio repentaglio non solo l’integrità della costa e dell’ambiente marino, ma anche tutti gli sforzi e gli investimenti compiuti nel tempo dalle nostre comunità per salvaguardare questo splendido patrimonio. Oltre al danno, anche la beffa. Secondo Legambiente la scelta del governo italiano è frutto di una strategia energetica insensata e impattante. Le riserve certe di petrolio presenti sotto i mari italiani sarebbero, infatti, assolutamente insufficienti a dare un contributo energetico rilevante. Infatti, stando ai consumi attuali, basterebbero solo per 8 settimane. A fronte di questi quantitativi irrisori di greggio si stanno ipotecando circa 130mila kmq di aree marine.

Ancora una volta, muoviamoci anche noi! Le petizioni e le iniziative non mancano e sono tutte importanti per fermare questa follia (non perdete il documentario Black Ice): in Sicilia si può firmare la petizione U mari nun si spirtusa di Greenpeace o Il petrolio mi sta stretto del WWF, in Puglia si può prendere parte all’iniziativa #difendiamolabellezza o nell’Adriatico si può aderire a questa petizione. Le proteste in qualche caso sembrano dare buoni frutti: a luglio, in Croazia, due compagnie petrolifere, l’austriaca OMV e la statunitense Marathon Oil, a cui erano state assegnate 7 delle 10 aree di ricerca idrocarburi hanno rinunciato alle concessioni a pochi giorni dalla firma del contratto con il governo.
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C’è quindi da ben sperare, ma molto è ancora da fare: ad oggi le Regioni non hanno praticamente voce in capitolo sulle autorizzazioni delle ricerche petrolifere offshore e non è ancora stata fatta una Valutazione Ambientale Strategica (VAS) sulle ricerche offshore di idrocarburi, che dovrebbe definire anche in quali aree sensibili queste ricerche non possano essere eseguite. Per questo intervenire è fondamentale: fatelo anche voi!
