Non capita spesso, di questi tempi, di incontrare persone testimoni di antiche tradizioni popolari. Uomini e donne emblema di un passato che ha “fatto” una città o un paese e che ha contribuito a forgiarne la cultura e le usanze. Io, durante il mio viaggio in Sicilia, ho avuto la fortuna di incontrare Giuseppe Grasso, puparo di Acireale, uno degli ultimi veri pupari di professione che contribuiscono a mantenere viva questa magica tradizione riconosciuta dall’Unesco patrimonio dell’umanità.
Giunta quasi per caso nel piccolo teatro-museo in via Nazionale per Catania 195 ad Acireale, vengo subito circondata da schiere di cavalieri armati di scudi e spade e damigelle vestite di stoffe pregiate. Giuseppe mi accoglie con calore e simpatia e subito mi trascina nell’affascinante mondo dei pupi, facendomi abilmente immergere nelle appassionanti gesta epiche dei cavalieri senza macchia e senza paura che nella tradizione combattono per la rivalsa storico sociale del popolo siciliano.
Tutto comincia negli anni ’40, quando Turi Grasso (padre di Giuseppe) dà vita alla sua Compagnia per portare avanti la tradizione dei mastri pupari acesi. Oggi la conduzione è per lo più famigliare, dove moglie, figli e nipoti di Turi si occupano della realizzazione degli abiti, della costruzione, del restauro e della manovra dei pupi.
Durante la mia visita, Giuseppe mi mostra orgoglioso una lunga fila di pupi alti circa 140 cm e pesanti almeno 25 kg. Insomma, dei veri e propri ragazzini di legno. Sono i pupi originali della tradizione Catanese che il padre Turi ha recuperato dagli scantinati di un vecchio teatro di Catania, abbandonati e divorati dai tarli. Con grande amore e pazienza, la famiglia Grasso li ha ripuliti, aggiustati e restaurati, compiendo anche delle ricerche storiche per riconoscere i personaggi rappresentati e dotarli dei giusti abiti.
Insomma, una storia d’amore quella della famiglia Grasso, che porta avanti con grande tenacia un pezzo di storia e cultura Siciliana. Il laboratorio di “lu Mastru puparu” resta ancora oggi come ieri, un luogo dove l’essenza stessa del lavoro nel produrre i manufatti diventa cultura di un popolo, anche e soprattutto attraverso l’utilizzo di materie prime molto povere e spesso riciclate. Gaetano, fratello di Giuseppe, mi spiega infatti che il riciclo dei materiali era, una volta, bisogno e necessità : in tempo di guerra i pupari usavano per le armature addirittura i bossoli dei cannoni e vecchie pentole. Insomma, tutto ciò che si dismetteva passava ai pupi: legno, metalli, stoffe, ornamenti. Ancora oggi latta e ottone riciclati fanno da protagonisti anche per gli effetti di scena. Il mio preferito è un semplice foglio di latta che dà l’effetto del temporale con tanto di tuoni e scrosci. Mi sono venuti i brividi dall’incredibile realismo con cui Giuseppe riusciva, solo sbatacchiando il foglio, a emulare una tempesta da film horror.
Che dire, posso solo consigliarvi caldamente di andare a trovare la famiglia Grasso nel suo teatro-museo, dove Giuseppe vi farà amare il suo lavoro, permettendovi di manovrare in prima persona gli attori di legno. Chissà, forse qualcuno di voi, come me, si farà accarezzare dal pensiero di abbandonare tutto e di buttarsi nel bellissimo mestiere del puparo!