Google si impegna per il clima e ha deciso di non collaborare con chi nega i cambiamenti climatici. Consapevolezza o operazione di marketing?
Alzi la mano chi non ha mai utilizzato o sentito parlare di Google.
Nessuno lo farà, perché Google è ovunque: sa dirci dove siamo e quale percorso intraprendere; ci guida alla ricerca delle informazioni che stiamo cercando; è diventato un browser web diffuso e potente; ci aiuta a tradurre, a cercare documenti e, se vogliamo, a fare shopping. Sui telefoni, il suo “play store” contiene migliaia di altre applicazioni ed aggiornamenti per il cellulare.
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In definitiva, Google domina la nostra interfaccia virtuale, ed è infatti una delle più potenti e importanti aziende al mondo. Sita negli USA, finanzia e partecipa a progetti di vario genere e tipo, e le sue applicazioni vengono utilizzate per svariati scopi.
Fino ad oggi, tra queste collaborazioni spiccava anche quella con ALEC – American Legislative Exchange Council, partito decisamente conservatore e contrario all’ambientalismo (non potrebbe essere altrimenti: riceve finanziamenti da compagnie petrolifere e carbonifere), al punto di proporre una legge per equiparare gli ambientalisti ai terroristi.
La collaborazione, però, è saltata, come spiega in un messaggio Eric Schmidt, presidente del consiglio di amministrazione Google: “Tutti sanno che i cambiamenti climatici sono in atto” ha spiegato Schmidt, “Chi lo nega fa solo del male ai nostri figli e nipoti, e contribuisce a rendere il mondo un posto peggiore. Google ha una posizione molto netta sull’argomento, e crede che le decisioni vadano prese basandosi sui fatti“.
Tutto questo rinnovato ambientalismo imprenditoriale sembra costituire un importante segnale di maggiore consapevolezza delle problematiche climatiche, più che mai necessaria di fronte agli ultimi dati pubblicati: il 2014, secondo il recente rapporto NOAA – National Oceanic and Atmospheric Administration, si avvia ad essere l’anno più caldo degli ultimi 4000 anni. Dunque, l’estate fredda e piovosa del nord Italia altro non è che un’ulteriore conseguenza di questi sconvolgimenti, e certamente non quell’inversione di tendenza che vorremmo augurarci.
Guardando i dati presentati dal NOAA, tuttavia, si scopre anche che tra i maggiori fattori di inquinamento troviamo anche quello elettromagnetico e tecnologico. Infatti, la produzione continua ed il progresso di questi ultimi tempi ha un costo climatico che si misura, prima di tutto, nelle tonnellate di rifiuti tecnologici ammassati nelle discariche.
Google, come ogni azienda, guadagna dall’acquisto dei suoi prodotti, e cerca quindi di massimizzare il suo profitto, al punto di aver creato un pc che funziona solo connesso alla rete e soltanto con le sue applicazioni: il ChromeBook.
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Posto che l’inquinamento elettromagnetico e tecnologico costituisce un grave problema dell’ambiente contemporaneo, come reagirebbe questa stessa azienda se, per ridurlo, tutti noi rinunciassimo a comprare una delle nostre appendici tecnologiche, come, per esempio, lo smartphone? Se la politica imprenditoriale è così ambientalista, perché non commercializzare prodotti che si alimentino ad energia solare, o cellulari che durino più a lungo?
A Google si affiancano i Rockfeller. È di questi giorni l’annuncio secondo il quale hanno scelto di disinvestire dal petrolio – l’oro della loro fortuna – e di puntare sulle energie rinnovabili. Il loro è certamente un gesto simbolico ed importante che, all’indomani della grande marcia per il clima svoltasi a New York, fa riflettere sull’impatto che tale decisione potrebbe avere.
Per quanto siano apprezzabili gli impegni di questi grandi gruppi aziendali, ci si potrebbe chiedere quanto questo costituisca un’abile operazione di marketing, più che un reale interesse verso il futuro del nostro pianeta.
E se di questo si tratta, quanto conteranno nelle azioni che potranno venire intraprese dopo il summit ONU sul clima di questi giorni?
[Foto di copertina di Marlenenapoli – Opera propria, CC0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=14680987]
