Per una Pasqua cruelty-free lasciamo vivere gli agnelli

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Per una Pasqua cruelty-free lasciamo vivere gli agnelli ultima modifica: 2014-04-13T09:00:06+02:00 da Veronica Ottria
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Mangiare l’agnello a Pasqua sembra per gli Italiani una scelta imprescindibile: per molti di loro toccare il tasto della crudeltà del gesto non ha grande appiglio. Rifugiarsi dietro alla tradizione religiosa sembra andare per la maggiore.

Ma, a ben vedere, l’agnello sulle tavole pasquali di tradizionale ha veramente ben poco, per lo meno per la religione cristiana.

Persino i presunti atei per 364 giorni l’anno, quando arriva Pasqua subito cavalcano l’onda cristiana dell’agnello in tavola, anzi, sulla griglia.

agnellini

L’abitudine a consumare carne ovina il giorno di Pasqua è stata in realtà mutuata dalla religione ebraica, che ricorda il giorno dell’Esodo degli Ebrei dall’Egitto, in cui si uccise un agnello per famiglia, se ne mangiarono frettolosamente le carni in piedi, pronti per la partenza, e si segnarono le porte delle abitazioni con il sangue degli animali, per scongiurare la Decima Piaga, che prevedeva l’uccisione di tutti i primogeniti, umani e animali. Neppure l’Antico Testamento dà però indicazioni riguardo la ripetizione celebrativa di questo sacrificio.

Pare addirittura che proprio lo stesso Gesù, come ci ha ricordato Papa Benedetto XVI, abbia scelto di non mangiare l’agnello durante il pasto celebrativo della Pasqua ebraica con i suoi discepoli.

Proprio parlando di Gesù, è curioso pensare alla definizione datagli da Giovanni Battista: Agnus Dei, ”agnello di Dio”. Mettere un agnello ammazzato in tavola diventa così, seppur inconsapevolmente, un gesto sadico, a perenne ripetizione della sofferenza di Cristo a mano umana, senza alcuna possibilità di salvezza (e senza averne capito il senso).

Ogni anno le associazioni animaliste cercano espedienti più o meno originali (e più o meno “bacchettoni”) per limitare i danni: qui trovate una galleria delle immagini che circolano sul web, seppur non esaustiva.

agnello e patate

Il lavoro migliore appartiene però come sempre a Madre Natura (o il Creatore, se così preferite chiamarlo), che ogni anno fa di tutto per preservare i suoi figli da questa mattanza: chiedetevi perché è proprio in questo periodo primaverile che la terra ci offre ogni ben di Dio – è il caso di dirlo -, che non aspetta altro di essere raccolto.

E allora via a passeggiate e pic-nic, con frittatine, torte salate, risottini, insalate di erbette e fiori, macedonie, spiedini di frutta, tutta la fantasia che ci potete mettere (tranquilli, il web vi aiuterà).

Meno crudeltà vuol dire più felicità, per noi, per loro, per il pianeta, per la salute, per il portafogli e, non dimentichiamoci, per la linea: la prova costume, in fondo, è alle porte!

Per una Pasqua cruelty-free lasciamo vivere gli agnelli ultima modifica: 2014-04-13T09:00:06+02:00 da Veronica Ottria
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Per una Pasqua cruelty-free lasciamo vivere gli agnelli ultima modifica: 2014-04-13T09:00:06+02:00 da Veronica Ottria

Laureata in Comunicazione, un Master in Comunicazione per la Sostenibilità, una dose infinita di dilemmi etici. Con i bambini piccolissimi ha trovato la sua dimensione: baby-sitter da sempre ed educatrice di prima infanzia da poco. Bacchettona della raccolta differenziata, fissata con la cosmesi naturale, attenta lettrice di etichette, esploratrice di erbe, vegetariana, legge molto, cucina e cuce ancora di più... Una donna all'antica, insomma! Ama soffermarsi sulle piccole cose, scoprire odori e gusti nuovi, i flashback improvvisi, le facce delle persone, i bambini e gli animali: quell'empatia che con loro è così naturale. Il mondo che vorrebbe... nella sua testa esiste già!

9 Commenti

  1. La maggior parte degli agnelli in Italia è prodotta in Sardegna e non vengono imbottiti di farmici, nè sottoposti ad alcuna tortura prima della macellazione. Gli allevatori sardi non mirano alla produzione di carni ma alla produzione di latte, per cui l’agnello è più un costo che un guadagno. La macellazione a 30-40 gg. recupera solo in parte la produzione lattea del periodo. Dato che le pecore per produrre latte devono per forza sgravidare l’unica soluzione per evitare quella che definisce mattanza sarebbe sopprimere gli agnelli alla nascita. Le sembra una soluzione più umana?

    • Buongiorno Paolo!
      Credo che sia una questione di punti di vista, o meglio di priorità.
      Io personalmente non riesco a concepire il sacrificio di una vita per puri scopi economici. Del resto questo è un atteggiamento, all’interno del mondo animale, presente soltanto nella specie umana: per cui sì, in questo senso mi sembra una soluzione tipicamente umana.
      Ben venga evitare di imbottire di farmaci gli animali, ma staccare un cucciolo dalla tetta della sua mamma, letteralmente rubandogli il latte, mi sembra una tortura a tutti gli effetti. E, per quanto abbia vissuto “serenamente” i suoi 30-40 giorni di vita, resta comunque il fatto che l’agnellino viene poi ammazzato per finire su una griglia.
      La ringrazio per la sua riflessione, che è molto utile a far capire ciò che sta dietro anche ad un semplice formaggio, considerato spesso meno crudele rispetto a una fetta di carne.

      Veronica

      • Salve, quindi il pastore sardo è crudele perchè, per poter ottenere formaggio, deve svezzare gli agnelli.
        Bene, allora abbandoniamo l’allevamento e lasciamo che gli ovini siano liberi. Peccato che in questo modo decretiamo la fine della pecora di razza sarda, che senza l’intervento dell’uomo è destinata a estinguersi nel giro di qualche anno, non essendo attrezzata a resistere in natura.
        Diciamo pure addio a una cultura millenaria, da sempre a stretto contatto con la vera natura, a tutela di territori immensi conservati intatti per generazioni proprio grazie alla capacità di questi animali di adattarsi ai magri pascoli dei nostri territori. Iterritori. Bel risultato: animali estinti e pastori alla fame.

  2. gentile paolo, grazie per essere intervenuto. la mia difficoltà e penso anche quella di veronica autrice di questo interessante articolo, sta nel fatto che non riusciamo a concepire l’agnello, nè qualsiasi altro essere vivente, alla stregua di un numero o di un capo da abbattere seppur per la sopravvivenza della specie. per noi i cuccioli sono cuccioli e una volta messi al mondo hanno il diritto di vivere

    • Carissima Eleonora, pensi che chi vive per dieci anni insieme alla madre dell’agnello e dedica il suo duro lavoro a permetterle di sopravvivere insieme a una parte della sua progenie, concepisca l’agnello come “un numero o un capo da abbattere”? Per noi il mestiere è allevare non macellare. Se si concepisse un modo che permetta di allevare 1000 capi invece che 500 saremmo i primi a gioire (intendo un modo che permetta il reperimento delle risorse economiche necessarie a sfamare i capi).

  3. Difficile far capire questi discorsi ad alcune persone, soprattutto per chi direttamente o indirettamente è collegato a questa attività e la mentalità purtroppo è quella che è. Si cercano sempre scuse per chi sfrutta gli animali

    • Ti sbagli di gorosso. Ho già detto che l’allevatore non mira alla produzione di carni; si vanta degli animali che alleva per anni, non di quelli che è costretto a eliminare e ti assicuro che chi fa questo mestiere non riuscirebbe a continuare se non avesse un grande amore per la natura e gli animali. Non vedo che differenza vi sia con ciò che succede in natura con la selezione naturale, anzi in questo caso è l’intervento dell’uomo che tutela quella specie, dato che il 25-30% degli agnelli è destinato alla rimonta e, dunque alla vita, cosa che in natura, come ho già accentato, non succederebbe.

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