The Tree of Life – Una riscrittura naturalmente umana a Venezia

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The Tree of Life – Una riscrittura naturalmente umana a Venezia ultima modifica: 2018-09-30T08:00:10+02:00 da Emanuel Trotto
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Dapprima è l’immagine. È una cavalletta in equilibrio su di un filo d’erba. Poi è l’Apocalisse dello sciame che divora le colture. È la foresta pluviale i cui rami si aprono con lame di luce sopra al soldato in cerca di sé. È il giardino all’inglese in cui la “selvaggia” nativa Pocahontas si perde a danzare con grazia. È l’insenatura di roccia che si apre e si “ramifica” grazie ad un fascio di luce. Prima viene la luce e l’immagine. Poi viene il verbo, e con esso la storia. Terrence Malick prima della parola ha sempre messo in primo piano l’immagine. Il suo, dal 1973, è un cinema visivo ed uditivo. Nel senso che lo si potrebbe fruire o chiudendo gli occhi, o tappandosi le orecchie. E ci si ritrova immersi in un mondo immaginifico, sensibile e palpabile.

The Tree of Life

Egli ha il potere di farti sentire la freschezza dell’acqua di un ruscello quanto il gelo nell’immensità dello Spazio. Questo e molto altro è The Tree of Life del 2011. Si tratta, in assoluto, del suo film più ambizioso. In esso unisce la propria formazione filosofica all’autobiografia immaginaria, nella rigida America degli anni’50. In esso è in grado di cominciare con la storia di un architetto, Jack (Sean Penn) che ripensa alla morte di suo fratello. Facendolo ritorna alla sua infanzia con un padre duro figlio del suo tempo (Brad Pitt) e una madre leggera in anticipo su di esso (Jessica Chastain). E riuscire a collegare il tutto con la storia del nostro Pianeta, dalle immense esplosioni siderali al Mesozoico, all’avvento dell’uomo. Una Epopea che non è solo filosofica, ma anche religiosa.

The Tree of Life

C’è un appello divino in apertura del film (ma a quale divinità si sta rivolgendo per davvero?). Una commistione fra Darwin e Tommaso D’Aquino («C‘è una via della Natura e una via della Grazia»). Jack come una specie di moderno Profeta laico ed individualista vaga nel deserto. Un assolato e pietroso deserto interiore per arrivare alla fine alle rive del mare, bagnarsi i piedi, riconciliarsi con i sé del passato. Potersi, finalmente, riappacificare.

Questo è il film che abbiamo amato e che il pubblico ha applaudito a Cannes nel 2011. Edizione in cui lo sfuggente regista texano si guadagnò la Palma d’Oro. Ma, come ogni opera degna di questo nome, non ne esiste una versione sola. Infatti, come da sua abitudine, Malick abbandona ai piedi del tavolo di montaggio migliaia e migliaia di metri di girato. Spesso e volentieri con interpreti che hanno fatto carte false per poter lavorare con lui. Per essere poi depennati come una foglio accartocciato. Una quantità di materiale estremamente ricca e prolifica da realizzare interi film solo con questi eccellenti scarti.

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A distanza di sette anni, The Tree of Life è ancora un testo in continua riscrittura. Ne esisterebbero circa tre versioni. Ovvero quella che noi tutti conosciamo, un rimontaggio con scene inedite della durata di 188′ e una terza versione che è quella più vicina alla visione di Malick.

Di questa terza versione non ci è dato, per ora, sapere. La seconda versione, di 188′, è stata invece proiettata nel corso della 75 Mostra Internazionale di Arte Cinematografica di Venezia all’interno della sezione Sconfini. Questa versione comprende circa 50′ in più rispetto agli originari 138′. Ma non si tratta di una versione estesa, lo è erroneamente. Si tratta invece quasi di una completa riscrittura del canovaccio originale. Un lavoro quasi completamente nuovo, a cui Malick ha abituato già il suo pubblico quando nel 2011 presentò a Cannes la “riscrittura” di The New World (2005). 

Nella riscrittura di Tree of Life ci si concentra di più sul lato umano che di quello umanistico della vicenda evocata nel film. Se nella versione precedente il flusso di coscienza partiva dal Jack adulto per poi abbandonarsi completamente, qui ci si concentra maggiormente su di lui. Un architetto immerso nella giungla urbana, fra grattacieli, scale mobili, iridescenti grattacieli. Dove gli alberi sono solo poco più che cespugli e siepi in quadrati verdi. Si indaga maggiormente sul suo presente. Per mostrare quanto la sua scelta di distacco dalla famiglia è stata una scelta obbligata e desiderata da entrambe le parti.

In questa versione il padre non è solo la personificazione della crudeltà e sopraffazione della Natura. Mostra il perfetto uomo dell’America anni ’50. Un uomo che vive del progresso e della ricerca del benessere. Che lo porta ad essere assente alla propria famiglia, ad essere maggiormente odiato dai propri figli. In un periodo storico in cui il contatto con la Natura era solo volto alla sopraffazione in nome del consumismo. In tal senso il personaggio di Brad Pitt impersona un serpente che si morde la coda. Una Natura che si è assoggettata all’uomo/figli e ha dimenticato la sua stessa ragione di essere. Così come la Grazia/Madre mostra anche lei la sua singola debolezza. Il puro amore può generare odio e quindi a essere rifuggito.

Malick pantocratore al Lido torna a far riflettere e discutere a sei anni dalla presentazione di To the Wonder (2012). Questo Cut non è solo il frutto di un massacrante lavoro di montaggio ma è un’opera, molto più critica in cui mette al centro l’uomo per farne percepire la sua marginalità. E il suo finale, quella conciliazione visiva fra la Natura, la Tecnologia potrebbe risultare maggiormente ambigua. Perché quanto la precede dà l’idea di una tregua solo ideale. Oppure, proprio per questo, ancora più radicalmente ottimista.

The Tree of Life – Una riscrittura naturalmente umana a Venezia ultima modifica: 2018-09-30T08:00:10+02:00 da Emanuel Trotto

Nato a Biella nel 1989, si è laureato in Storia del Cinema presso il DAMS di Torino nel 2012, ha partecipato alla rassegna stampa per l’Università al 29, 30, 31mo Torino Film Festival e ha collaborato per il Festival CinemAmbiente 2014. Collabora per diversi blog di cinema e free culture (Il superstite) e associazioni artistiche (Metropolis). Ha diretto due cortometraggi: E Dio creò le mutande (2011), All’ombra delle foglie (2012).

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