Ambientalisti uccisi: 50 vittime nei primi sei mesi del 2018

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Ambientalisti uccisi: 50 vittime nei primi sei mesi del 2018 ultima modifica: 2018-07-23T08:54:32+02:00 da Davide Mazzocco
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Brasile, Filippine, Colombia, India e Repubblica Democratica del Congo i paesi più rischiosi per i difensori dell’ambiente

Brasile, Filippine, Colombia, India e Repubblica Democratica del Congo sono i paesi in cui, negli ultimi quattro anni e mezzo, la difesa dell’ambiente è costata la vita a decine di persone. La testata The Guardian, da sempre all’avanguardia nei progetti di giornalismo aperto alle comunità, sta tenendo il conto dei difensori dell’ambiente che perdono la vita nella strenua difesa delle risorse naturali e dell’ambiente.

Nella prima metà del 2018 sono state 50 le persone uccise per il loro impegno a favore dell’ambiente, una cifra che mette i brividi, ma che non riesce a diventare mainstream in un mondo dell’informazione che sembra avere altre priorità rispetto alla tutela dell’ambiente.

Da quando The Guardian ha iniziato il suo triste censimento, le vittime dei sicari al soldo della politica e dei potentati economici sono state 750: 117 nel 2014, 185 nel 2015, 201 nel 2016, 197 nel 2017 e 50 nel 2018.

Numeri alla mano, nel 2016 e nel 2017 sono stati uccisi quattro ambientalisti alla settimana. Nonostante il 2018 abbia fatto registrare un sensibile calo rispetto all’ultimo biennio, i 50 morti dei primi sei mesi dell’anno chiamano governi e potentati economici alle loro responsabilità.

inquinamento
Il settore estrattivo è fra i principali “mandanti” degli omicidi di ambientalisti in Asia, Africa e Sud America

Le 145 vittime brasiliane della statistica del Guardian rappresentano il 19,33% del bilancio globale, mentre i 102 ambientalisti assassinati nelle Filippine corrispondono a una percentuale del 12,24%. Questi due paesi sono seguiti dalla Colombia, con 95 vittime, e da India e Repubblica Democratica del Congo, entrambe con 34 vittime.

Quali sono le lotte principali dei “defenders” di The Guardian? Il maggior numero di vittime è registrato nel mondo dell’agricoltura ovvero fra gli attivisti, i contadini e le popolazioni native che si oppongono all’agricoltura intensiva, alla monocoltura, all’utilizzo di sostanze tossiche nei campi e al land grabbing. Le deforestazioni per far spazio alle coltivazioni di soia e palme da olio sono emblematiche di questa “fame” di terra che spazza via le popolazioni dai loro territori destinandoli a uno sfruttamento che li condurrà a una progressiva sterilizzazione del suolo.

Anche le filiere dell’estrazione mineraria e petrolifera creano tensioni fra le comunità locali e i potentati economici, si pensi, per esempio, alla guerra del coltan che si combatte da anni nella zona orientale del Congo.

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Sono 170 i ranger uccisi nel Parco Nazionale dei Virunga negli ultimi venti anni

Resta alto il numero delle vittime fra i ranger e i gruppi militari che si battono contro il bracconaggio di specie rare o in via di estinzione come elefanti e rinoceronti. Nella triste conta di The Guardian non mancano ambientalisti che si battono per la difesa delle acque o contro la costruzione delle dighe.

Nel gennaio di quest’anno Robert Kirotich, appartenente alla tribù kenyana dei Sengwer è stato ucciso durante uno sfratto forzato effettuato dal Servizio Forestale del Kenya nell’ambito di un progetto di conservazione dell’acqua finanziato dall’Unione Europea a Mount Elgon. Le guardie forestali hanno sparato su un gruppo di 15 allevatori ferendo a morte Kirotich.

In aprile, nella Repubblica Democratica del Congo cinque ranger e un autista sono stati uccisi nel Parco Nazionale dei Virunga, da anni teatro di un braccio di ferro fra le guardie forestali che lottano per salvare i gorilla di montagna e le milizie al soldo delle compagnie petrolifere che, proprio qualche settimana fa, sono riuscite a ottenere dal governo congolese l’autorizzazione a trivellare all’interno dei parchi naturali del paese. Negli ultimi vent’anni sono state 170 le vittime della guerra che si combatte nel più antico parco nazionale africano.

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La Foresta Amazzonica continua a essere uno dei luoghi più rischiosi del mondo per i difensori dell’ambiente

Nell’aprile 2018 Carlos Hernández, uno degli avvocati honduregni impegnati nella difesa degli attivisti sotto processo per essersi opposti al land grabbing operato nell’ambito del progetto di costruzione di una diga sul fiume Jilamito,  è stato trovato morto nel suo ufficio di Tela de Atlántida.

Sempre nel mese di aprile Nazildo dos Santos Brito, leader di una comunità di Quilombo, nello stato brasiliano del Pará, è stato ucciso dai miliziani che difendono gli interessi dell’industria dell’olio di palma.

Nel mese di maggio undici manifestanti sono stati uccisi nello stato indiano del Tamil Nadu, in seguito alle proteste contro un impianto di rame gestito da un colosso minerario britannico che, a detta dei residenti, sta inquinando l’ambiente circostante. Dopo l’omicidio di dieci persone e il ferimento di altre 80 persone nella città portuale di Thoothukudi, la polizia ha ucciso un ventitreenne di nome Kaliappan.

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Un gruppo di manifestanti in piazza per chiedere di contrastare i cambiamenti climatici

Sono cinque storie esemplari della violenza con la quale il neocolonialismo governa le proprie attività: a garantire il nostro tenore di vita, i nostri consumi low cost, la tecnologia di cui ci circondiamo è la sofferenza delle popolazioni di Africa, Asia, Sud e Centro America. I sostegni allo sviluppo con cui molti pifferai si riempiono la bocca (pensiamo al vuoto pneumatico del mantra “aiutiamoli a casa loro”) non sono iniziative benefiche a priori, come dimostra la morte di Robert Kirotich. E l’“olio di palma sostenibile” altro non è che un ossimoro inventato dal marketing dell’industria alimentare che guadagna sul ribasso delle materie prime.

Ricordiamocene e, quando è possibile, ricordiamolo.

Foto Pixabay e CinemAmbiente

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Giornalista e saggista, ha scritto di ecologia, ambiente e mobilità sostenibile per numerose testate fra cui Gazzetta, La Stampa Tuttogreen, Ecoblog, La Nuova Ecologia, Terra, Narcomafie, Slow News, Slow Food, Ciclismo, Alp ed ExtraTorino. Ha pubblicato numerosi saggi fra cui “Giornalismo online”, “Propaganda Pop”, "Cronofagia" e "Geomanzia".

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