Là suta, il documentario sull’eredità nucleare di Saluggia

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Là suta, il documentario sull’eredità nucleare di Saluggia ultima modifica: 2018-02-21T08:00:30+01:00 da Davide Mazzocco
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Abbiamo visto la versione definitiva del film di Daniele Gaglianone, Cristina Monti e Paolo Rapalino sulle scorie nucleari nel triangolo d’acqua fra i Canali Farini e Cavour e la Dora Baltea

Presentato in anteprima e in una versione non definitiva nell’edizione 2014 di CinemAmbiente, Là suta. La nostra eredità nucleare in un triangolo d’acqua di Daniele Gaglianone, Cristina Monti e Paolo Rapalino è il documentario con il quale i tre autori torinesi hanno raccontato la parabola del nucleare in Piemonte. Si tratta di una storia lunga sessant’anni e attualmente circoscritta, come specifica il sottotitolo, in un fazzoletto di terra a valle dell’abitato di Saluggia, quello compreso fra il Canale Cavour, il Canale Farini e la Dora Baltea.

A quasi quattro anni dalla proiezione in anteprima, la versione definitiva di Là suta continua a essere di strettissima attualità. Come in molti altri casi in cui il mondo della politica è chiamato a occuparsi di una questione di ambiente e di salute pubblica, le scorie di Saluggia rappresentano una criticità da relegare nell’agenda del procrastinabile. Passa il tempo e si alternano i Governi, ma la situazione dei rifiuti dell’attività nucleare italiana resta la stessa di trent’anni fa. I lavori di messa in sicurezza del sito Eurex, di costruzione dell’impianto di riprocessamento Cemex e del deposito delle scorie nel “triangolo d’acqua” procedono a rilento rendendo l’inchiesta dei tre registi torinesi un evergreen.

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Il film inizia con le immagini di repertorio che documentano l’inaugurazione della centrale nucleare di Trino Vercellese e l’attività protrattasi dal 1965 fino alla chiusura, nel 1990. Dal repertorio si passa alle interviste di operai e dirigenti. Il momento più toccante del documentario è quello in cui Giovanni Vallino racconta l’incidente occorso a un suo collega investito da una perdita di liquido contaminato da materiale radioattivo: “Era coricato sotto che svitava dei tubi. Ha aperto e gli è venuto tutto addosso. Dopo si è ammalato quasi subito e in una settimana è morto. Mi ricordo benissimo: è venuto dentro con la tuta normale, perché lui lavorava fuori dalle celle”. A questo punto una dissolvenza in nero anticipa le lacrime di questo testimone della stagione del nucleare italiano.

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C’è un dato che la dice lunga sul contributo dato dalle quattro centrali nucleari italiane (Trino Vercellese, Caorso, Latina e Sessa Aurunca) al fabbisogno energetico nazionale: i 93 miliardi di kilowattora prodotti nei quattro siti nucleari fra gli anni Sessanta e gli anni Ottanta hanno fornito l’energia oggi necessaria per i consumi di 93 giorni. Quindi, anni di lavoro per la costruzione e fra i 20 e i 25 anni di attività hanno prodotto l’energia necessaria per tre mesi.

Basterebbe questo dato per smontare qualsiasi narrazione entusiastica e sviluppista, ma Gian Piero Godio descrive nel dettaglio l’impatto ambientale dell’attività della centrale e, insieme ad altri intervistati, quelli che sono i rischi dello stoccaggio a pochi metri da questo triangolo d’acqua.  Secondo i dati della prefettura di Vercelli, a Saluggia è presente il 96% della radioattività del nostro Paese, un vero e proprio cimitero nucleare che finisce ciclicamente nelle cronache per fuoriuscite di materiale radioattivo.

L’altra criticità del sito è rappresentata dalla Sorin, società operante nel campo biomedicale e della medicina nucleare con 1700 dipendenti che lavorano quotidianamente a 300-400 metri dalle scorie radioattive.

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Rispetto alla versione presentata in anteprima a CinemAmbiente 2014 sono state aggiunte alcune voci, anche in seguito al dibattito suscitato in sala durante la prima proiezione – ci spiega Paolo Rapalino -. Inoltre abbiamo deciso di ‘asciugare’ il nostro racconto riducendo le immagini di repertorio”. Il regista sottolinea lo stallo dei lavori nel sito di Saluggia: “Dal 2014 a oggi non è cambiato nulla. Ogni qualvolta si verificano delle perdite di liquido radioattivo queste vengono considerate nella norma. Quanto al deposito nazionale unico per le scorie radioattive è ovvio che nessuna forza politica al governo voglia perdere consenso portando le scorie di Saluggia altrove. Se la situazione rimane quella di oggi ci guadagnano tutti”.

Ma il decreto con il quale sono state identificate le caratteristiche del luogo deputato allo stoccaggio parla chiaro: sono escluse le aree in prossimità di fiumi, mari e zone abitate. La situazione di Saluggia è un pericoloso paradosso. Oltre al pericolo di alluvione, c’è anche un tratto del Canale Cavour che attraversa con un ponte la Dora Baltea. Se un giorno il ponte dovesse crollare si verificherebbe un’esondazione che andrebbe ad allagare gli impianti della Sogin. Il nucleare ha già dimostrato, in più di un’occasione, come non si possa affiancare l’aggettivo “calcolabile” al sostantivo “rischio”. Un documentario fatto con passione civile come Là suta, oltre a essere una testimonianza, fornisce un’alternativa alla normalizzazione e alle narrazioni di chi non vuole si sappia cosa è nascosto “là sotto”.

Chi volesse acquistare il dvd, organizzare una proiezione o effettuare il download del film può farlo sulla piattaforma Distribuzioni dal basso.

Foto Zenit Arti Audiovisive

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Giornalista e saggista, ha scritto di ecologia, ambiente e mobilità sostenibile per numerose testate fra cui Gazzetta, La Stampa Tuttogreen, Ecoblog, La Nuova Ecologia, Terra, Narcomafie, Slow News, Slow Food, Ciclismo, Alp ed ExtraTorino. Ha pubblicato numerosi saggi fra cui “Giornalismo online”, “Propaganda Pop”, "Cronofagia" e "Geomanzia".

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