Amianto sulle navi italiane: un libro fa emergere le verità nascoste

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Amianto sulle navi italiane: un libro fa emergere le verità nascoste ultima modifica: 2017-10-18T08:00:38+02:00 da Davide Mazzocco
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Nel saggio “Navi di amianto” Lino Lava e Giuseppe Pietrobelli raccontano uno scandalo rimosso da istituzioni, opinione pubblica e organi di informazione.

È di 600 morti per tumore il bilancio, verosimilmente per difetto, dell’amianto sulle navi della Marina Militare Italiana. Eppure questo scandalo, così come quello delle morti per l’uranio impoverito, continua a essere rimosso dalla coscienza dell’opinione pubblica, trascurato dalle istituzioni e dai media. I giornalisti Lino Lava e Giuseppe Pietrobelli con il libro Navi di amianto, pubblicato da Oltre Edizioni, hanno preso spunto da un’inchiesta giudiziaria avviata una dozzina di anni fa dalla Procura della Repubblica di Padova e con processi ancora in corso di svolgimento per far venire a galla molte delle verità nascoste di questo caso.

“Alla sbarra sono finiti ammiragli e capi di Stato Maggiore che si sono avvicendati al comando della Marina Militare Italiana e dei suoi organismi sanitari. Molti di loro nel frattempo sono morti, gli altri attendono che il tempo, attraverso la prescrizione dei reati, chiuda, senza averla mai aperta per davvero, la partita delle responsabilità penali. E le vittime, nel frattempo, dopo la prescrizione del processo Marina Uno, attendono da Marina Due (già a dibattimento) e Marina Tre (in fase istruttoria), una giustizia che forse non arriverà mai”, ci spiega Lava aggiornandoci sull’andamento dei tre processi.

Per anni migliaia di marinai hanno lavorato e vissuto in ambienti imbottiti d’amianto, si sono ammalati di mesotelioma pleurico, una particolare forma di tumore che può rimanere latente per quattro decenni, ma che non lascia scampo quando decide di “risvegliarsi”.

amianto navi militari - pixabay (1)

Sono 600 le vittime già accertate, ma si stima che il picco dei decessi arriverà intorno al 2020.

“Le fibre del minerale ignifugo che si sono insediate negli apparati respiratori sono il frutto della negligenza, dell’imperizia, della sottovalutazione che troppo a lungo ha accompagnato l’utilizzo di questo materiale sulle navi militari. Morti e ammalati non sono vittime del caso o della fatalità, ma di una gigantesca battaglia che la Marina ha perso, senza mai combatterla per davvero. Non ha saputo tutelare la salute dei suoi uomini fedeli, imbarcandoli senza avvisarli del pericolo e, soprattutto, non mettendo in atto le norme di sicurezza degli ambienti di lavoro e di prevenzione previste dalla legge.

Questa battaglia non si è combattuta in mare, ma nelle sale macchine, nei dormitori e nelle sale mensa delle navi, dentro i sommergibili, negli Arsenali di La Spezia, Taranto e Augusta. Non ha avuto come avversario una flotta pronta a invadere le nostre coste, ma un nemico invisibile che ha colpito tutti, senza riguardo per il grado, sia chi lavorava sotto coperta, con temperature torride e motori azionati dal vapore, sia chi viveva sopra coperta. Tutti, comunque, dormivano, vivevano e mangiavano negli stessi locali”, aggiunge Pietrobelli.

Parlare di amianto in Italia significa fare i conti con cronologie che mettono a nudo le responsabilità e ridicolizzano ogni giustificazione. Il primo studio che collega il cancro all’inalazione delle fibre di amianto è del 1906: è lo scienziato inglese H.M. Murray a evidenziare il rapporto di causalità fra asbesto e tumori.

Lino Lava
Lino Lava

In ambiente militare la relazione fra amianto e asbestosi risale al Primo Dopoguerra, quando il governo statunitense, messo di fronte a un considerevole numero di malattie asbesto-correlate, opta per il risarcimento economico delle vittime o delle famiglie vista l’impossibilità di smantellare il materiale dalle imbarcazioni della U.S. Navy.

E in Italia? Lava e Pietrobelli dimostrano, documenti alla mano, come sulle navi italiane continui a esserci l’amianto nonostante il minerale sia stato messo al bando da una legge statale nel 1992. In Navi di amianto si racconta come le flotte continuino a navigare con i loro equipaggi e con il loro carico letale ed è per questo che ufficiali e marinai continuano ad ammalarsi. Dopo la messa al bando dell’amianto, la Marina Militare ha investito più sulla dotazione militare della navi che sulla loro messa in sicurezza. Soltanto nel 2000 sono state varate le prime navi realmente asbestos free.

Giuseppe Pietrobelli
Giuseppe Pietrobelli

Soltanto dopo la mappatura Rina, quindi a partire dal 2008, il Ministero della Difesa ha avuto uno strumento per pianificare le bonifiche. I documenti e le testimonianze citati nel libro dimostrano come si sia cominciato a fare sul serio negli ultimi anni e come l’ultimo appalto avrà termine nel 2019.

“Che le navi abbiano continuato il loro servizio, anche se l’amianto non era stato eliminato, lo ha ammesso il ministro della Difesa Giampaolo Di Paola nel 2012, rispondendo in Parlamento. Disse che fino ad allora era stato bonificato completamente solo il 20 per cento e parzialmente il 44 per cento delle 155 unità della Marina. Un dato agghiacciante perché dimostrava che la maggioranza continuava a navigare nelle nostre acque e ad impegnarsi in missioni internazionali con l’amianto a bordo. Ma su quella ammissione è calato un pesante silenzio di Stato, motivato da ragioni di sicurezza militare e nazionale.

Il governo non ha mai detto al Parlamento e al popolo italiano quali fossero le navi con amianto e come si intendesse affrontare il problema. Solo frasi generiche, ripetute dal 2011 in poi dai ministri della Difesa che si sono succeduti, da Ignazio La Russa (Berlusconi IV), a Di Paola (governo Monti), fino a Roberta Pinotti (governi Renzi e Gentiloni). Un tempo era la pattuglia dei Radicali Italiani a interrogare l’esecutivo, poi sono stati i parlamentari di Sel. Oggi è il Movimento Cinque Stelle” continua Lava.

I due giornalisti svelano i nomi delle navi contaminate e il numero degli equipaggi imbarcati, aggiornando la black-list stilata dalla Procura di Padova e comprendente 300 navi (molte, a vapore, acquistate nel Secondo Dopoguerra dalla Marina statunitense). Una storia che si può ormai declinare al passato? Nient’affatto.

copertina navi di amianto

“Interi apparati macchine delle navi più importanti della flotta italiana non sono stati nemmeno aperti per verificare se all’interno vi sia amianto. Non era possibile o troppo costoso farlo, rispetto all’efficacia degli interventi. Sono i ‘buchi neri’ delle bonifiche che riguardano le condotte dei gas di scarico dei motori, gli impianti elettrici, una serie di porte e pannellature, numerosi macchinari di sette grandi navi e due sommergibili, nonché decine di migliaia di interruttori disseminati a bordo.

Dicono che il rischio per la salute degli equipaggi è nullo, essendo cessato al 31 dicembre 1995, come sostiene la Marina. Il nostro libro dimostra che quel limite temporale è un ‘non senso’, perché dopo quella data l’amianto era ancora a bordo e la gente continua a morire anche oggi, a distanza di oltre vent’anni”, conclude Pietrobelli.

Si torna, quindi alle date. La Marina Militare era a conoscenza dei pericoli per la salute sin dalla fine degli anni Settanta, l’allarme del Ministero della Sanità risale al 1986, ma soltanto l’inchiesta giudiziaria del 2003 ha dato una scossa inducendo la Difesa ad accelerare i tempi delle bonifiche. Nel silenzio delle istituzioni e dei media, la battaglia va avanti e questo saggio rappresenta un importante e coraggioso documento per far luce su di una storia con molte zone d’ombra.

[Foto | Pixabay e Facebook]

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Giornalista e saggista, ha scritto di ecologia, ambiente e mobilità sostenibile per numerose testate fra cui Gazzetta, La Stampa Tuttogreen, Ecoblog, La Nuova Ecologia, Terra, Narcomafie, Slow News, Slow Food, Ciclismo, Alp ed ExtraTorino. Ha pubblicato numerosi saggi fra cui “Giornalismo online”, “Propaganda Pop”, "Cronofagia" e "Geomanzia".

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